Monica Vitti, la malattia e quell'autobiografia involontaria per fermare i ricordi

Nel libro 'Sette sottane' del 1993 l'attrice racconta: "Ho la sensazione di aver nascosto a me stessa quello che era più importante ricordare. E non so più se i fatti si sono svolti così o la memoria li ha cambiati"

Roma, 2 febbraio 2022 - “Vorrei ricominciare da capo. Non so se per raccontare le stesse cose in un altro modo o per raccontarne altre. Ho la sensazione di aver nascosto a me stessa quello che era più importante ricordare. E non so più se i fatti si sono svolti così o la memoria li ha cambiati. Tutta la mia storia, i miei fatti mi vengono dietro in punta di piedi. Credono che io non me ne accorga. Però se mi giro si nascondono, non ci sono più“, scriveva Monica Vitti verso la fine del suo libro 'Sette sottane', pubblicato nel ’93 e da lei definito un’ “autobiografia involontaria“. Nel ’93 Monica aveva 62 anni; il suo ultimo film era del ’90 ('Scandalo segreto', da lei interpretato e diretto), l’addio ufficiale al pubblico sarebbe avvenuto nel 2002. La malattia degenerativa simile all’Alzheimer che l’ha tenuta lontana dalle scene e dal pubblico fino al giorno della morte, a 90 anni, le era stata diagnosticata nel 2000. Ma in quel libro del ’93 – oggi così stupidamente quasi introvabile – Monica pare già voler provare ad affidare alla certezza della carta, la paura della volatilità della propria esistenza più intima – le memorie di famiglia, la passione del lavoro d’attrice –, come se avvertisse che a tratti, a lampi, quel suo io più profondo si sta sgretolando. Sabbia tra le dita.

“Quando cammino sento la presenza di quei fatti che sono tutta la mia storia – continuava  Monica –, sento la loro presenza e i loro passi poco distanti. Vogliono vedere dove li porto, dove andranno a finire. Hanno caratteri pesi e colori diversi, a volte si fidano di me, a volte no. Io scivolo nei vicoli, sperando di perderli. Ma li ritrovo in fondo alla strada, con le braccia conserte, che ridono come pazzi. I fatti sono presuntuosi, pesanti, invadenti. Le emozioni sono leggere e indipendenti. Ti ballano intorno e sono pronte a distrarsi al primo colore“.

Poi c’è il finale del libro: Monica racconta di sé in una piazza di Roma, piazza del Popolo assolutamente vuota; lei è sola, seduta sui gradini di una fontana, le si avvicina un cane di una razza imprecisata "un orecchio su e uno giù – scrive – mi annusa. gli piaccio, si accuccia vicino a me guardando dall’altra parte. Fa finta di non esserci. Non vuole troppa confidenza“. Insieme al cane Monica guarda l’acqua della fontana, poi una mongolfiera "come quella dei disegni" che viene giù dal cielo. Il signore col cilindro che è a bordo invita Monica e il cane a salire, il cane e Monica si guardano: “perché no?“.

“Quando ci solleviamo è come se ci togliessero la terra da sotto i piedi... Ma è come un gioco, tutto è leggero, sorridente, anche le statue, gli angeli, i leoni della piazza sorridono con un bel po’ d’invidia. Loro sempre lì fermi... Una lacrima esce dall’occhio di una statua, stanca di avere sulle spalle un capitello. Le sorridiamo ma dobbiamo andare. Un saluto a tutti e a presto. Poi vi racconterò come è andata“. Monica non l’ha mai raccontato, come è andata, ma è giusto così. Noi tutti che l’abbiamo adorata – la più bella, la più brava, la più modesta, la Vitti che è un pezzettino del nostro cuore –, noi quaggiù ora siamo le statue che piangono. Liberata  da fatti pesanti e presuntuosi, adesso Monica può vivere per sempre come è stata nella sua arte, emozione libera e indipendente. È sulla mongolfiera.