Giovedì 25 Aprile 2024

Valentino, incanto giapponese tra manga e Rinascimento

Rossi trionfi di rushes per moderne samurai. E Tokyo applaude

La sfilata di Valentino a Tokyo

La sfilata di Valentino a Tokyo

Tokyo, 1 dicembre 2018 - Essere per divenire. Mondi lontani, solo all’apparenza, e invece vicinissimi nel culto dell’armonia e del dettaglio. Una cultura dell’adolescenza senza età dai tratti Manga che si avvicina e spesso si sposa col Rinascimento più classico. Ieri, oggi, domani tra Occidente e Oriente, tra Valentino e il Giappone, tra i rituali dell’atelier di Piazza Mignanelli a Roma e quelli della Koubou, la bottega dove sbocciano i più raffianti kimono, senza nostalgie da Madama Butterfly, languidi orientalismi, inutili romanticismi. Con un senso del contemporaneo che pare concretizzarsi al massimo sotto il cielo di Tokyo dove Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino ha voluto portare la sua collezione Pre Fall 2019 con la prima sfilata co-ed del mitico marchio trasformato stavolta in Valentino TKY, con novanta creazioni di cui 70 da donna e 20 da uomo. «Questo è un evento molto importante per la maison Valentino – spiega l’amministratore delegato Stefano Sassi – io e Pierpaolo amiamo enormemente il Giappone e la sua cultura ed è un piacere venire a Tokyo dove creatività e business si incontrano perfettamente».    Fantastico lo svelamento a Ginza 6 della boutique trasformata in galleria d’arte, con musica, foto, oggetti da alto artigianato e le strepitose co-lab che Piccioli ha voluto con colleghi prestigiosi come Yamamoto, Jun Takahashi di Undercover (indimenticabili le stampe new botticelliane), per le felpe di Doublet e i draghi di carta rossa di Satoshi Kamiya. Ed ecco nel gran finale del defilé dentro lo spazio industriale spoglio e grigio della Terrada Warehouse piovere dal soffitto petali di rose rosse di seta sulle teste delle modelle e dei modelli e sul pubblico.   Perché questa idea di cultura di strada giapponese ha guidato la nascita di una collezione perfetta, dinamica, romanticamente estrosa, con cappotti rossi con le immense maniche come origami, abiti maschili di plissè sbagliati, ruches pressate e imperfette, fiocchi e fiori scarlatti stemperati nella loro esplosione di colore in un bagno purificatore di nero. Pierpaolo Piccioli è felice e soddisfatto del risultato ottenuto, del ricordo dello splendore di Brooke Shields negli anni ’80 icona in rosso della maison messo in comunicazione con l’Annunciazione del Beato Angelico, il kway blu coi petali a rilievo che ricorda lo charme di Marisa Berenson e l’abito da sera delle meraviglie portato in passerella da Kaia Gerber, un trionfo di budellini e ruches verticali da purissimo atelier che sembra una fragile armatura da donna samurai.   «L’idea dei bellezza che hanno qui in Giappone è davvero molto moderna – racconta Piccioli – e per la collezione ho pensato più all’inclusività che all’esclusività. Ispirandomi al wabi sabi che valorizza l’imperfezione e la bellezza del tempo che passa, ripensando al valore del Ma che è quello spazio ideale e sospeso che si forma alla fine della conservazione fra due persone. E poi facendo sposare la cultura del nostro atelier romano di alta moda con quella giapponese della tessitura dei kimono. In fondo sono due esempi perfetti di bottega dell’arte».