Mercoledì 24 Aprile 2024

Milo Manara: "La pornografia uccide l'erotismo"

Intervista al maestro dal tratto elegante che ha reinventato l'icona femminile. "Umiliante costringere una donna con il ricatto della carriera. Violenza e prepotenze deturpano l’ideale di bellezza"

Milo Manara (Afp)

Milo Manara (Afp)

Roma, 25 marzo 2018 - «La bellezza è qualcosa da contemplare. Deturparla con la violenza e la prepotenza, imponendo un rapporto sotto ricatto, magari perché si è in una posizione di potere, è davvero umiliante per l’uomo che si abbassa a tanto, più che per la donna». Milo Manara è un maestro nell’immaginare bellissime donne, a cui ha dato vita sulla carta in centinaia di tavole disegnate. Per questo, il ‘no’ gridato dalle donne del movimento MeToo e le denunce di molestie che stanno percorrendo il mondo occidentale non poteva lasciarlo indifferente. Anche perché è l’ennesimo indizio del «decadimento etico e culturale della società, che coinvolge anche la percezione della bellezza e della femminilità». 

Maestro Manara, la pornografia, veicolata soprattutto sul web, pare aver annichilito l’erotismo. È ancora recuperabile questa dimensione sfumata e intrigante o ci si deve arrendere? «Sembra un paradosso: c’è un dilagare di corpi nudi e pornografia su tutti gli schermi, eppure è venuto meno l’erotismo. L’erotismo è un’elaborazione culturale del sesso, va oltre l’atto sessuale in sé. Il disegno necessità di complicità da parte dell’osservatore e del lettore, i quali devono ‘far finta’ che il segno sulla carta rappresenti un corpo. Oggi, invece, si lavora meno col cervello, la pornografia è meccanica, si affida alla vista ma risulta meno coinvolgente, quasi brutale. Non è un caso che la grande letteratura erotica sia ormai datata. Sì, abbiamo la serie delle ‘50 sfumature’, ma di fatto è una trasposizione ai giorni nostri dal classico ‘Histoire d’O’. Fa parte di uno scadimento generale della nostra società, che si è arresa alla superficialità. Non so se si possa recuperare una dimensione più profonda, ma bisogna provarci». 

Siamo ancora capaci di cogliere la bellezza? Come si insegna ad apprezzarla e riprodurla? «Nel mio campo noto che un generale disinteresse a ricercare la bellezza del segno, che spesso trovo approssimativo. Disegnare bene richiede fatica, mi sembra siano pochi coloro che curino l’estetica. Al cinema non è diverso: in tanti film, già nelle prime inquadrature, traspare la mancanza di interesse per la ricerca estetica, quasi fosse un orpello da cui liberarsi. Le trame sono più o meno interessanti, ma non trovo la cura nelle inquadrature dei grandi maestri: Fellini, Visconti, Zeffirelli ci hanno insegnato che il cinema è anche una festa per gli occhi. Del resto, il nostro senso estetico è stato danneggiato irreparabilmente da anni di pubblicità televisiva: interrompere un film con uno spot è barbarie, l’affermazione dell’idolatria del denaro sul rispetto per spettatore e artisti». 

Ha citato alcuni maestri scomparsi. Ne vede oggi in Italia e nel mondo? O mancano modelli di riferimento per i giovani? «Mi mancano le conversazioni con Hugo Pratt e Fellini, anche quelle apparentemente più superficiali e giocose mi arricchivano. Credo che questo periodo veda una scarsità di personaggi che possano essere guide illuminanti nei rispettivi campi. Se dovessi fare un nome, Paolo Sorrentino, sul grande schermo, ha dimostrato di avere senso estetico e sta riprendendo in mano la nostra tradizione cinematografica. Il problema è che la globalizzazione tende a livellare tutto, ma verso il basso. Per gli antichi greci, il bello era anche buono. Vedo frammenti di trasmissioni in cui ci sono ragazzi e ragazze bellissimi che litigano fra loro con epiteti da carrettieri – con tutto il rispetto per i carrettieri –, ne colgo le deformazioni del viso, fanno cadere le braccia. Come si sfarina facilmente la bellezza davanti alla volgarità...». 

Che idea si è fatto della ribellione rosa di MeToo, il movimento scaturito dalle denunce di violenza al produttore hollywoodiano Weinstein? Siamo di fronte a un secondo femminismo? «Vedremo se scaturirà un vero cambiamento, certamente trovo che le molestie e le violenze denunciate siano parte dello scadimento etico e culturale della società. Le donne fanno benissimo a ribellarsi, sarebbe ora che i maschi imparassero qualcosa. Oggi la donna è giustamente uscita dal focolare, con una libertà sempre crescente. I maschi poco sicuri di sé proclamano la virilità in modo prevaricante e violento: i femminicidi sono la rappresentazione dell’inadeguatezza del maschio ad accettare il ruolo forte della donna. Sono più grosso di te, e quindi ti ammazzo. La debolezza psichica maschile è disarmante». 

Come mai in Italia anche molte donne hanno criticato le attrici che hanno denunciato?  «Che in Italia ci sia un atteggiamento retrogrado nei confronti della donna, è innegabile. Pakistan, Germania, Argentina, Brasile hanno avuto o hanno tutt’ora premier donne, mentre da noi una figura simile è di là da venire, solo ultimamente ci sono stati ministre in ruoli chiave come la Difesa. È vero che certe denunce sono state avanzate con molto ritardo, ma criticarle per questo significa non tenere conto della situazione: non è facile per una donna mettere in gioco la propria carriera. Detto ciò, non bisogna neanche essere talebani e censurare qualsiasi apprezzamento in nome del politicamente corretto. Uno può rispettare la mente di una donna, gioendone anche per la bellezza del corpo. In questo senso, Cathrine Deneuve non ha torto». 

Avrà seguito le ultime elezioni. Come vede il futuro dell’Italia? «Le priorità agitate in campagna elettorale non sono quelle che mi sembrano davvero urgenti, anche se capisco che temi così complessi necessitino di un approccio globale. Il primo problema è l’inquinamento, ho trovato pochissime tracce nei programmi dei partiti. Il secondo è l’iniquità della società: il divario tra ricchi e poveri si è allargato troppo, è inaccettabile. Non bastano palliativi come piccoli redditi o mance, trovo che il problema sia sottostimato».

Anche in politica, insomma, mancano i maestri? Di chi ci si può fidare oggi?  «A me sembra che i nostri politici tengano in primis alla poltrona, come fossero costantemente in campagna elettorale. Ma così l’orizzonte è limitatissimo, non c’è una visione di lungo periodo, una prospettiva. I grandi pensatori di oggi si tengono lontano dai partiti: penso a Serge Latouche, ma anche a Massimo Cacciari, che dopo aver toccato con mano la politica, ora la critica senza sconti». 

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