Mezzo secolo, e continuiamo a chiamarlo Trinità

Nel dicembre ’70 Hill & Spencer cambiarono la storia del western. La figlia di Bud: "Cazzotti e allegria. Con pochi soldi e molti fagioli"

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Prima di quel film, il West era una faccenda di polvere e sudore, di sguardi duri, di silenzi, di pause interminabili, di sparatorie feroci. Non solo nei western classici di John Ford, ma anche in quelli ispidi e torridi di Sergio Leone. Le attese eterne, gli occhi socchiusi come fessure, i duelli mortali. Poi, arrivò Trinità. E cambiò tutto.

Il 22 dicembre 1970, mezzo secolo fa, usciva Lo chiamavano Trinità..., e il West non fu più lo stesso. Era un West senza sangue, con fagioli e allegria, dove le scazzottate erano balletti, e anche i morti uscivano di scena con un salto, come in un cartone animato. C’erano sempre sudore e polvere, ma la violenza non faceva più paura. Lo spettatore si rilassava, e rideva, se il gigante buono tirava pugni come martellate in testa ai cattivi.

I cinema furono presi d’assalto. Il film lanciò definitivamente quei due attori, Bud Spencer e Terence Hill. Una coppia perfetta, il gigante generoso e il fratello sottile, agile e sfrontato. Asterix e Obelix, Stanlio e Ollio, il centravanti e l’ala sinistra. Uno, l’ex campione italiano di nuoto Carlo Pedersoli, quasi due metri di rocciosa possanza; l’altro, occhi di ghiaccio, anni dopo avrebbe indossato la tonaca di don Matteo. Ma allora, aveva una magliaccia pulciosa piena di buchi; e dagli stivali, prima di metterseli sui piedi nudi, tirava fuori uno scorpione, con l’aplomb di un lord inglese. Di film insieme, ne avevano girati già tre: ma Lo chiamavano Trinità... fu quello della consacrazione.

Bud Spencer è scomparso quattro anni fa. Sua figlia, Cristiana Pedersoli, lo ha ritratto da poco nel libro Bud. Un gigante per papà. All’epoca del film lei aveva 8 anni.

Cristiana, che cosa ricorda del set del film?

"Andammo vicino a Roma – racconta –, dove giravano alcune scene a cavallo. Mio padre amava molto gli animali, si trovava sempre a suo agio con loro: ma quel giorno, il cavallo che doveva cavalcare non voleva saperne di lui. Alla fine, si buttò per terra e non ci fu modo di convincerlo a rialzarsi: papà, evidentemente, era troppo pesante!".

Com’era quel set?

"Molto povero. Non c’erano le roulotte per gli attori con tutti i comfort: lui e Terence Hill si riposavano nel retro dei camion, sui materassi usati per le cadute degli stuntmen. Quando i materassi occorrevano, li svegliavano senza troppi complimenti".

A casa parlavate dei film?

"No. Ma io, tutta eccitata da quello che avevo visto, ripetevo le scene zampettando sui cuscini del divano, credendo di aiutare papà a prepararsi".

Com’era il rapporto fra suo padre e Terence Hill?

"C’era una sintonia enorme. Si divertivano molto insieme. Credo che, grazie a mio padre, Terence – che era rigido, professionale, meticoloso – abbia imparato a lasciarsi andare un po’. Io all’inizio non avevo fatto molto caso a lui. Un giorno, durante le riprese del sequel ...continuavano a chiamarlo Trinità per la prima volta notai i suoi occhi: così intensi, limpidi, profondi. Due calamite".

Ma i fagioli che Terence Hill divora nella prima scena del film, lei li ricorda?

"Certo che sì! Prima di girare, Terence Hill rimase a digiuno due giorni, per avere quella fame. Papà non aveva bisogno di questa preparazione: lui aveva fame sempre. La sarta Ida, sul set, diventò anche la sua cuoca personale. Ida in cucina era un fenomeno, e papà era pazzo per i fagioli che preparava. Non ne aveva mai abbastanza!".

Diretto da E.B. Clucher (pseudonimo di Enzo Barboni, 1922- 2002) Lo chiamavano Trinità... dopo l’uscita in Italia (dove fu campione d’incassi), venne distribuito in tutto il mondo; ancora oggi quando passa in tv fa grandi ascolti. E pensare che era un “filmetto” da girare al risparmio, con scenografie di recupero, pellicola avanzata, e con il West ricreato in Abruzzo, a Campo Imperatore, con altri esterni a Campo della Pietra. Solo uno dei cattivi, il Maggiore, era un attore celebrato: il Farley Granger di Nodo alla gola di Alfred Hitchcock.

Ma tutto, nel film, funzionò. Dal manifesto di Renato Casaro, con Terence Hill indolente trascinato dal cavallo, alla colonna sonora di Franco Micalizzi, cantata da Annibale Giannarelli, poi ripresa da Quentin Tarantino nel finale di Django Unchained, come omaggio entusiasta a Trinità. Del film, oggi, c’è una versione restaurata e integrata grazie a CG entertainment.

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