Giovedì 18 Aprile 2024

Mesina e il mito del balente

Giovanni

Morandi

Può darsi che la cattura di Graziano Mesina possa diventare la fine del banditismo sardo ma non è detto perché il fenomeno è legato a valori tanto arcaici quanto radicati. Come quello sulla balentia. Mesina ne è un esempio, perché a tutti gli effetti Gratzianeddu va considerato un balente, termine di origine catalana che potremmo tradurre come vero uomo, uno che non si arrende, viste le sue numerose evasioni di cui una decina riuscite, e alcune decise per amore. Balente nel codice barbaricino è l’uomo che merita rispetto, non con il significato siciliano di uomo d’onore ma con quello sardo di coraggioso, generoso, leale, fedele alla parola data, senza ambiguità, che sa farsi rispettare e sa vendicarsi. Ma con il tempo anche questo significato si è imbastardito e con la parola balentes sono anche chiamati i bulli e gli sbruffoni. La “Nuova Sardegna“ ha fatto un’indagine tra i suoi lettori per capire come sia cambiata l’opinione sulla parola balente e ha accertato che i più ormai la usano come sinonimo di arrogante, prepotente, spocchioso, più che uomo di nobile animo.

Comunque è una parola sempre in uso e rammento, nonostante siano passati tanti anni, era l’inverno dell’85, che la lessi scritta su un muro di Orgosolo, “Viva sos balentes”, dopo la battaglia di Osposidda, che fu comunque uno scontro a fuoco tra banditi da una parte e carabinieri e abitanti del Supramonte dall’altra, i quali riuscirono a liberare un sequestrato. I tempi sono cambiati e anche i significati dell’onore e della vendetta non sono più quelli di una volta. Perciò Mesina va considerato un sopravvissuto e forse non è il caso infierire su di lui.

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