Melissa Satta: "Attente ai social. Gli squali del web rovinano la vita"

Showgirl e moglie di Boateng. "Essere belle è molto bello. Ma ci sono invidie e pregiudizi nel lavoro e nelle amicizie"

Melissa Satta

Melissa Satta

Milano, 10 luglio 2017 - Sono le nuove maitre à penser della cultura popolare. Sono l’upgrade delle Veline, sono le vallette 2.0. Di solito si sposano o si accompagnano a calciatori con un reciproco scambio di benevole influenze. I giocatori danno loro uno status symbol di primo piano, loro ne addolciscono l’immagine, anzi spesso ne diventano i portavoce o le segrete ispiratrici di interviste, tweet e colpi di mercato. Sono le regine spesso determinanti del mondo del pallone, a cui centinaia di migliaia di ragazze guardano come le cenerentole che hanno infilato la scarpetta giusta. Sono le wags, le mogli o fidanzate di sportivi illustri. E tra le wags italiane più note c’è la bellissima Melissa Satta, ex Velina, moglie di uno dei calciatori più popolari, Kevin Prince Boateng. Parla dalla Sardegna, dov’è in vacanza. «Le mie giornate sono molto cambiate dopo che è nato Maddox. Prima c’ero solo io e potevo fare quello che volevo, oggi lui viene per primo. In vacanza ci svegliamo alle otto e mezza, per me molto presto. Riesco ancora a fare un po’ di sport, grazie all’aiuto di mia mamma mi ritaglio un po’ di tempo. Pratico il wakeboard».

Parliamo di calcio. È diventata popolare anche grazie al programma sportivo “Tiki Taka”. Qual è stato il momento più divertente? «Rispondo da milanista: quando abbiamo intervistato Ancelotti».

Il sogno della sua vita professionale: intervistare Ronaldo o Messi? «Né uno né l’altro. Sceglierei Lippi, perché è un uomo con grande esperienza che ci ha fatto vincere tanto. Io non sono né messiana né ronaldiana».

Anche lei ha giocato a pallone... «In serie C femminile, a 15 anni. Giocavo a sinistra, tiravo sia di destro sia di mancino. Il calcio femminile è molto diverso: ci pagavamo tutto noi, giocavamo su campi terribili in terra battuta, le trasferte erano molto pesanti. Sono un maschiaccio, per esempio la danza non mi ha mai interessato. Casomai il karate. Se oggi qualcuno mi chiede di fare una partita a calcetto sono pronta – a calcetto perché a calcio non ho più il fiato! Nel giardino di casa spesso palleggiamo con mio figlio: ha tre anni, ma parla solo di calcio...».

Oggi lei e Boateng vivete distanti, lui in Spagna, lei in Italia, anche se come base avete la casa a Milano. Comporta qualche difficoltà? «Sono sacrifici inevitabili. Io lavoro, mio marito lavora. Non è facile ma ci organizziamo».

Ho letto che quando vi siete conosciuti, lui è rimasto folgorato, mentre lei, cito testualmente, «non ne volevo sapere». Com’è andata? «Non gli ho dato subito il mio numero. E questo l’ha un po’ spaventato. Allora vivevo tra l’Italia e l’America. Quando l’ho conosciuto gli ho spiegato che stavo partendo per gli Stati Uniti per un periodo lungo, facendogli capire che non era cosa... Invece è riuscito a farmi cambiare idea. È stato tenace, non ha mollato il colpo».

Come ha fatto, senza numero di telefono? «Allora c’erano i Blackberry con un pin. Ci si poteva scrivere anche senza avere il numero». 

Le ha mandato mazzi di rose, dolci, sorprese? «Ero a New York, un po’ difficile mandare rose. È stato bravo perché ha avuto pazienza. Invece di pensare, ma sì dai chi se ne frega, questa è partita ne trovo un’altra, si è intestardito, ha capito i miei tempi, e alla fine ha vinto lui...».

Cosa ha imparato da suo marito? «È una persona molto generosa, di sentimenti. Aveva un gran desiderio di creare una famiglia, mentre io sono sempre stata quella più timorosa, dicevo sempre: non è il momento giusto, sto lavorando... La donna che lavora si spaventa un po’ di più. Lui mi ha insegnato che non esiste il momento giusto, che il momento giusto ce lo dobbiamo creare. E in effetti aveva ragione».

Una volta ha detto che in suo marito «c’è più Africa che Germania». Che significa? «C’è la puntualità e la grande precisione tedesca nel lavoro, poi c’è tutta la parte artistica, sentimentale e romantica dell’Africa. Un bel mix, perciò l’ho sposato».

Come mai ci sono tante donne sarde belle, da Valeria Marini a Giorgia Palmas, da Elisabetta Canalis a lei, naturalmente? «La nostra è una terra speciale, saranno le cose che mangiamo, l’aria che respiriamo. Qui c’è una magia. Abbiamo dei geni molto forti, un alto tasso di longevità, le mie bisnonne ci hanno lasciato quando sfioravano i cento. Di solito si pensa alle donne sarde piccole e baffute, la realtà è diversa».

Ultimamente lei ha dovuto affrontare il cyberbullismo. I leoni da tastiera l’hanno presa di mira per una fantomatica mancanza di biancheria intima durante la trasmissione. Lei si è arrabbiata parecchio...  «Ciò che mi fa arrabbiare non è il mezzo, ma come viene usato. Io penso di usare bene i social perché parlo di me stessa, del mio lavoro, qualcosa della mia famiglia che scelgo io di far vedere. Mi arrabbio perché non ci sono regole e modi per punire chi non le rispetta». 

Lei vive sui social e si lamenta dei social? «Sono i controlli che non vanno. Abbinati a un profilo ci sono nome e cognome, e tutti i dati per l’identificazione. Mi stupisce che tutti possano dire e scrivere tutto quello che vogliono. Ci vuole un controllo a 360 gradi. Su alcuni profili vengono postate immagini di tutti i tipi, anche pornografiche, ma i social media vengono usati anche da minorenni! E poi, andiamo, sono una moglie, una mamma, una persona perbene: dovermi sentire in difetto perché ho messo una gonna in trasmissione mi sembra assurdo. È razzismo contro le donne. Ho deciso di fare causa non solo per me, ma per tutte. Femminicidi e stupri sono alimentati da questi meccanismi».

Che cosa raccomanderebbe a una ragazzina? «Di tenere gli occhi bene aperti. Molte si buttano sui social senza sapere che è un mare di squali. Non capiscono che chiunque può vedere le tue foto e poi scrivere di te qualsiasi cosa. Chi non c’è passato, non sa quanto sia facile leggere falsità scritte e postate da persone che non ti conoscono. Offese che possono esercitare un devastante potere su di te, e farti molto male. Mi sono messa nei panni di altre donne, anche di quelle che non ce la fanno a resistere all’ondata di fango e pensano di farla finita. È successo, lo sappiamo, purtroppo è successo anche questo».

Quali sono i pro e i contro di essere una donna bella come lei? «Sono una fortunatissima, essere belli è bello. Ma ci sono l’invidia e il pregiudizio».

Invidia anche nel lavoro? «Sempre. Ma anche nella vita privata e nelle amicizie».

Che mamma è Melissa Satta? «Cerco di essere il più presente possibile. Sono rigida – molti mi dicono che sono un generale – ma lascio libero mio figlio perché deve fare le sue esperienze. Sono sempre stata una ragazza molto libera e indipendente, i miei genitori mi hanno permesso di andare, viaggiare, scoprire, il primo college da sola l’ho fatto in America a otto anni... Vorrei che anche mio figlio crescesse così». 

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