Coronavirus, ecco le mascherine che si sanificano con gli UV

Dal Politecnico di Losanna arriva un nuovo materiale che intrappola i patogeni e li uccide con la luce ultravioletta

Una ragazza con indosso una mascherina chirurgica

Una ragazza con indosso una mascherina chirurgica

Le mascherine sono uno strumento di protezione indispensabile per contrastare la diffusione del coronavirus, ma il loro smaltimento può avere un serio impatto ambientale. Per questo, il Politecnico federale di Losanna (EPFL), in Svizzera, ha messo a punto un materiale capace di intrappolare i patogeni e poi distruggerli con l'aiuto dei raggi UV, che consentirebbe di progettare delle mascherine riutilizzabili.

Trappola per patogeni

La ricerca, pubblicata sulla rivista Advanced Functional Materials, descrive un materiale apparentemente simile alla carta, ma che in realtà è costituito da una rete di nanofili di ossido di titanio, dotati di proprietà antibatteriche e antivirali. "Poiché il nostro filtro è eccezionalmente efficace nell'assorbire l'umidità, può intrappolare le goccioline che trasportano virus e batteri", ha spiegato il professore László Forró, del Laboratorio di fisica della materia complessa presso l'EPFL. "Questo crea un ambiente favorevole per il processo di ossidazione, che è innescato dalla luce".

Sanificazione tramite UV

Le proprietà fotocatalitiche del biossido di titanio fanno in modo che, quando la radiazione ultravioletta colpisce la maschera, l'umidità intrappolata nei nanofili inizia a produrre degli agenti ossidanti, tra cui il perossido di idrogeno. Tali sostanze uccidono i microrganismi patogeni con cui vengono a contatto: gli esperimenti hanno dimostrato l'efficacia della procedura nell'eliminare batteri Escherichia coli e generici frammenti di DNA, sanificando così la mascherina.

Mascherine, ma non solo

Al momento il materiale non è ancora stato testato con il virus SARS-CoV-2, ma alla luce dei risultati preliminari i ricercatori confidano nel fatto che la carta a base di nanofili possa risultare utile per combattere la pandemia, senza rischi collaterali. "In un ambiente ospedaliero, le mascherine [tradizionali] vengono collocate in contenitori speciali e maneggiate in modo appropriato", ha sottolineato Forró. "Tuttavia, il loro utilizzo nel resto del mondo - dove vengono gettate in bidoni aperti e persino lasciate in strada - può trasformarle in nuove fonti di contaminazione". Gli autori hanno già messo in piedi una startup chiamata Swoxid, che, una volta completato il percorso di ricerca e sviluppo, si occuperà di proporre l'invenzione sul mercato. Le applicazioni potrebbero tuttavia non limitarsi alle sole mascherine e riguardare anche gli impianti di condizionamento dell'aria e i sistemi di ventilazione.

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