Margherita di Savoia, la regina influencer

A Torino una mostra ricorda la prima first lady del Regno d’Italia: dinamica, generosa, sempre alla moda. Diede il nome alla pizza

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di Viviana Ponchia

È rimasta sulla bocca di tutti per la pizza che porta il suo nome. Ma la regina Margherita ("che mangia il pollo con le dita", per dire quanto fosse entrata nelle simpatie della gente) è stata la più amata della monarchia sabauda e molto altro. Regina audace e inflessibile, prima first lady del Regno d’Italia al fianco di Umberto I dal 1878 al 1900, spendacciona, influencer ante litteram, generatrice di mode ridondanti, professionale nella gestione della propria immagine, talento naturale nelle pubbliche relazioni.

Noiosi i Savoia? Non lei, così glamour nelle toilettes eccessive, apripista di un nuovo stile di vita che andava dall’amato Beethoven alle scarpinate sulle montagne valdostane. A Palazzo Madama a Torino (fino al 30 gennaio) una mostra allestita in quello che fu il primo Senato d’Italia ricompone la vita di corte e il suo gusto per la vita tra feste e banchetti ma anche abbracci al popolo, di cui sosteneva l’istruzione a colpi di regale generosità.

A che serve essere principi se non si può fare il bene come si vuole? Era avanti, Margherita, figlia di Ferdinando di Savoia, andata sposa al cugino Umberto a sedici anni, madre a diciotto di Vittorio Emanuele, l’erede unico di casa Savoia. Talmente avanti da ritrovarsi, sentimentalmente parlando, nella stessa di posizione di Lady Diana.

Un matrimonio troppo affollato. Erano in tre anche lì perché dal 1863 il marito aveva perso la testa per la navigata duchessa Eugenia Litta, la storia si ripete. Lei però tirò dritto per amore della dinastia senza dare soddisfazione ai pettegoli, rimase al suo posto a fare squadra nella joint venture. E dopo l’uccisione di Umberto fu talmente magnanima da concedere alla duchessa di restare per quaranta minuti davanti al cadavere del re.

"Troppo nobile", si mormorò a corte. Ma la regina era cresciuta alla scuola dell’autocontrollo tenenendo a mente la lezione dell’istitutrice Rosa Arbesser: in caso di impasse emotivo non fare niente, mettersi solo a leggere ad alta voce senza fare trapelare il turbamento. (Comunque si tirò su grazie a un flirt extraconiugale: si innamorò della montagna e del barone Luigi Beck Peccoz, che la guidava sulle cime sopra Gressoney).

Amava l’oro, i colori brillanti, lo stile Louis XV, le poltroncine capitonné, i mobili intarsiati di Piffetti. L’allestimento torinese dell’architetto Loredana Iacopino procede dagli abbaglianti vestiti della collezione privata di Mara Bertoli alla faraonica culla di Vittorio Emanuele, all’alzata per ostriche in arrivo dalla Galleria degli Uffizi.

Margherita di Savoia accompagna il visitatore dai ritratti come fece con l’Italia fino alle soglie del XX secolo. Aveva il naso aquilino, le gambe tozze e un sedere basso che nella maturità, secondo le dame di corte più perfide, arrivò "ai talloni". Però si vedeva bella ed era considerata tale: bionda, occhi azzurri, pelle candida, sguardo languido, portamento principesco. E manica larga. "Angelo dei poveri", niente di meno.

Fu l’antesignana delle adozioni a distanza pagando gli studi a una ragazza piemontese che voleva farsi suora, a una napoletana e una milanese dell’Istituto dei ciechi, cintura nera ad honorem nelle lotterie benefiche per raddrizzare il destino dei bimbi sfortunati. Poi faceva pazzie per gli abiti sontuosi e i gioielli, ma che c’entra.

Il giornalista Luciano Regolo le ha fatto i conti in tasca durante tutta l’instancabile carriera da fashion victim, dal guardaroba per i viaggi all’estero al vestito da nozze cucito dalla modista francese Josephine Lebrun 14.785 lire, l’equivalente di 49 mila euro. Le suggerirono di contenersi, lei si contenne ma un giorno confidò alla nuora Elena quello che le ragazze innamorate delle favole hanno sempre saputo: "Nulla di davvero bello è costoso per una regina".

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