Giovedì 12 Giugno 2025
VIVIANA PONCHIA
Magazine

Marco Maccarini: “Sono stato il volto di Mtv e ora cammino tra le risaie”

L’ex vj: “Andavo a tutta velocità, oggi mi basta lo zaino e aver cura dei miei piedi. Il primo percorso nel 2005 verso Santiago. Rallentare è rivoluzionario”

Marco Maccarini, 48 anni, durante una pausa di uno degli innumerevoli cammini intrapresi (foto tratta dal profilo Facebook)

Marco Maccarini, 48 anni, durante una pausa di uno degli innumerevoli cammini intrapresi (foto tratta dal profilo Facebook)

Torino, 26 maggio 2025 – Questo incontro a tu per tu dura cinque chilometri fra il verde acido delle risaie e il cielo. Misurare la strada senza orologio è da vent’anni l’attitudine di Marco Maccarini, intercettato sulla linea che unisce Milano a Torino. Un lampo con l’alta velocità. Un pellegrinaggio di sei giorni per chi ha fatto del cammino una ragione di vita. Non una seconda vita, messa così non gli piace. Piuttosto il lato B di una cover di successo, il pezzo sconosciuto e sorprendente. Intorno al 2005 aveva tutto quello che mediamente desidera un ventinovenne contemporaneo: bagni di folla, radio, televisione, palcoscenici e proposte. Era il volto di Mtv – conduttore della trasmissione Total Request Live – e poi conduttore anche del Festivalbar. “Una velocità folle – ammette – non riuscivo nemmeno a vedere il paesaggio”. Così ha deciso di rallentare e ha trovato un altro passo. Oggi nello zaino porta un libro che cerca di proteggere dai temporali, va a piedi dalla città in cui abita a quella in cui ha le radici. “Un decimo di te” (Limina edizioni) è solo in parte una guida ai cammini, da Santiago a Roma, dalla Liguria alla Sicilia. Contiene la scogliera e l’amaca, le notti sul pavimento di un convento, la solitudine, la meraviglia, anche la paura. Il consiglio più importante sta nel titolo: il bagaglio di ogni viandante non dovrebbe gravare più di un decimo del suo peso.

E allora, quanto pesa in questo momento quello che si porta sulle spalle?

“Sei chili e mezzo senza acqua. È leggero ma poteva esserlo di più, come sempre non ho resistito alla tentazione di aggiungere qualcosa”.

È in agguato la metafora.

“Nessun cammino è solo un cammino. Ci carichiamo di pesi insostenibili, comprensibilmente. Siamo nati per il dramma e troppe volte ci sguazziamo, perché un po’ nella sofferenza troviamo conforto e giustificazione. Non sempre è necessario e comunque non per sempre. Esempio estremo, il lutto: quando arriva va lasciato sedimentare, deve fare il suo lavoro. Poi però è bene lasciarlo fluire, inutile trattenerlo al fondo dello zaino. Dopo si cammina meglio”.

Dove si trova in questo momento?

“Non ne ho la più pallida idea. Dopo Santhià di sicuro e prima di Chivasso. Seguo un canale. Alla mia destra risaie, a sinistra risaie. Mi commuove andare a passo lento per queste campagne che vediamo sempre a sputacchio da un’auto o da un treno. La distesa infinita della pianura, le Alpi che ieri si sono presentate all’improvviso. Le mando una foto, guardi. Uccelli di tutti i tipi che sbecchettano, rane che saltano, bisce che scappano. Qualche nuvola che fa cotone. Pioppi dappertutto”.

Quando si incagliava nei pensieri Einstein spariva dentro i boschi attorno a Princeton. E Steve Jobs portava i colleghi a passeggiare per sviluppare idee. Lo spirito è quello?

“In questo momento ho la testa libera: nessun nodo da sciogliere, nessun pensiero da inseguire o vomitare. Non mi metto mai in situazioni scomode per trovare qualcosa. Prendo e faccio mio quello che arriva. Sulla Via degli Dei è arrivata la paura e ho imparato a non temerla. Mi piace camminare. Sono partito nel 2005 in direzione Santiago, che all’epoca non era ancora di moda. Con lo zaino enorme del debuttante, ovviamente. All’inizio l’ho tenuto per me, poi ho cominciato a condividere questi momenti e in migliaia mi hanno ringraziato per averli portati in un mondo che non conoscevano. Ieri notte un ragazzo che mi segue su Instagram mi ha invitato a dormire a casa sua. Doccia calda, abbracci: la fortuna è dalla mia parte”.

Erling Kagge, esploratore norvegese, sostiene che scegliere di camminare in un mondo che corre è azione rivoluzionaria.

“Per me da sempre. Come l’osservazione lentissima di un leccio su una sediolina pieghevole. Rivoluzione, ma in modalità non disturbare”.

Che rapporto ha con i suoi piedi?

“I piedi sono saggi, ci ancorano alla terra e ci portano avanti con precisione. Li tratto benissimo e li preparo con largo anticipo. Ho imparato ad appoggiarli, ci metto la parte migliore di me. Qui si aprirebbe il capitolo lubrificazione, un’altra metafora. Mettiamola così: dove c’è frizione deve esserci vaselina”.

Sull’Isola dei famosi le sarà mancata.

“Mi hanno chiamato per 13 volte e ho detto di sì all’edizione numero 16 mentre camminavo sulla Via degli Abati. Mi interessava poco il programma, ero attratto dalla proposta economica e dall’esperienza: di totale privazione. Non ti danno merendine di nascosto, da contratto solo un pugnetto di riso e un cocco da dividere in quattordici. Non mangi, non vai di corpo, non dormi, sei sporco e dissanguato dalle zanzare. Grazie al cammino però sono riuscito a spegnere tutte le necessità primarie e a rimanere in gioco per tre settimane”.

Quando chiesero all’alpinista George Mallory perché volesse scalare l’Everest rispose: because it’s there. Vale anche per le sue avventure?

“Mallory sull’Everest è morto. A me non interessano la vetta e la conquista. Se c’è una montagna, le giro intorno”.