Mercoledì 24 Aprile 2024

Nuovo cinema Maradona, la vita è un film

Dai gol da cineteca al dramma della droga: l’epopea del Pibe de oro sul grande schermo

Maradona ieri e oggi

Maradona ieri e oggi

Roma, 23 settembre 2019 - Lo senti alla radio, con il tormentone ‘Maradona y Pelé’. Lo trovi nelle sale cinematografiche e sulla panchina di una squadra argentina. Eppoi arriverà anche la fiction. Si narra che il mito di Diego Armando Maradona sia tale a prescindere. Inscalfibile. E più lui si autodistrugge, più devozione e proselitismo s’impennano in un perverso gioco di vasi comunicanti tra il Diego calciatore e quello del ‘dopo’. E non vi è alcun dubbio che sia così. Perché se per trent’anni infili un fallimento dietro l’altro, fai collezione di scandali e brutti gesti, rischi la pelle per droga e non ne imbrocchi più una neanche quando c’è da far rotolare il pallone, allora non c’è altra spiegazione che non sia fede religiosa.  Così, mentre Maradona stanotte (alle 2 ora italiana) si siede in panchina in Argentina per il secondo capitolo dell’ennesima traballante avventura da allenatore, in Italia esce Diego Maradona, il docufilm-capolavoro girato dal premio Oscar Asif Kapadia, nelle sale qui da noi per tre giorni in una sorta di limited edition: oggi, domani e mercoledì prossimo.   Il regista che ha vinto la statuetta più prestigiosa nel 2016 per il miglior documentario con Amy, un lavoro che ha raccontato "la vera Amy Winehouse" dichiarò all’epoca Kapadia, ha costruito il suo Maradona attraverso l’analisi di filmati conosciuti e, soprattutto 500 ore di girato inedito del Diez. Naturalmente, c’è tanta Napoli nel docufilm tra partite, dichiarazioni e testimonianze del privato – dal preparatore personale Fernando Signorini all’ex moglie Clauda Villafane – fino all’amico ed ex compagno Ciro Ferrara. La ‘mission’ di Kapadia nel mondo di Diego, si sintetizza in una frase dello stesso regista: "Diego non era Maradona, ma Maradona portava Diego ovunque". E cioè un uomo con due anime, una in perenne lotta con l’altra ed entrambe schiacciate dal peso del mito.    Nel film c’è il Diego dei grandi successi, ma anche quello che sta per cadere fragorosamente. C’è quello tutta famiglia, figli e telefonate affettuose alla mamma e quello dei festini sfrenati con gli amici camorristi. Ci sono i trionfi e quelle immagini struggenti del campione che fu, irriconoscibile ingrassato e in lacrime. C’è il coro napoletano Ho visto Maradona e chi lo esorcizza trattandolo da demone. Eppure, nonostante oggi sia il fantasma di se stesso – impietosi alcuni video che girano sulla rete in cui non riesce quasi a parlare – c’è chi, ancora oggi, si rasa a zero la testa per potersi tatuare il suo faccione. E chi è convinto che in fondo, se ti chiami Diego Armando Maradona i miracoli puoi farli eccome. Ecco perché l’hanno chiamato sulla panchina del Gimnasia y Esgrima di La Plata nove anni dopo l’ultimi incarico ‘serio’ alla guida dell’Argentina. E, come sempre, nel giorno della sua presentazione si è andati oltre la misura del rito pagano, con un epilogo che ormai è un brand maradoniano: lui che parla davanti a un microfono e piange facendo piangere la gente. 

Piange talmente accorato che pare una cosa preparata. Anche se poi, nei corridoi degli spogliatoi e nell’intimità dei salotti bene argentini, segretamente e pur nel rispetto del mito, si sottolinea come Maradona funzioni solo perché , vinca o perda, c’è la fila per comprare biglietti e gadget. Come la maglia del Gimnasia con il numero 10 e la scritta ‘Maradona’ sulle spalle, che gli scaltri dirigenti hanno fatto stampare al volo anche se lui in carriera non l’ha mai indossata.   E se Diego per i tifosi è religione pura, chiaro come tutto il resto ne sia conseguenza. Per dire: il Gimnasia è ultimo in classifica con un solo punto e Diego ha perso la gara d’esordio contro un altro Diego – Milito, eroe del triplete interista – però il botteghino tira e il merchandising sta volando. Come a dire: magari retrocediamo, porca miseria, ma almeno entrano un po’ di soldi. E se stanotte contro il Tallares di Cordoba, dovesse arrivare un’altra sconfitta chi se ne importa perché, come cantavano a Napoli in quei giorni di magia: "Oh mama, mama, mama, sai perché, mi batte il corazon? Ho visto Maradona...". E tanto basta.

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