Giovedì 18 Aprile 2024

"Macché Brando: l’eroe del cinema è il guitto"

L’attore racconta la fenomenologia di Gigi Baggini, patetico personaggio di Tognazzi: "La rappresentazione più struggente del fallimento"

di Giovanni Bogani

Alessandro Haber, lei i perdenti li ama: è così?

"Sì. A me piacciono i perdenti, mi sono sempre piaciuti. Hanno un’anima contorta, sfaccettata, sono inadeguati. Hanno un vissuto travagliato, hanno scavalcato fossi e pozzanghere, e nelle pozzanghere ci sono caduti dentro".

Alessandro Haber. Uno dei più selvaggi, turbinosi, memorabili attori italiani. Con la sua voce scartavetrata dal dolore e dalle sigarette, attraversata dal dolore e dalla tenerezza, con gli occhi che cercano di continuo un rifugio. Con i capelli sgualciti e l’anima in disordine, ma piena. Haber ha raccontato personaggi patetici, appassionati, eccessivi. Spesso sconfitti. E nella sua autobiografia (Baldini & Castoldi), quattrocento pagine di confessioni, di amore per la vita e per il cinema, di incontri – da Carmelo Bene alla donna amata per un solo giorno, nella nebbia – Haber evoca nel titolo un perdente dimenticato. Il libro si chiama Volevo essere Marlon Brando, ma soprattutto Gigi Baggini.

Gigi Baggini era un personaggio del film Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, protagonista una giovanissima e bravissima Stefania Sandrelli. Baggini nel film era un attore fallito, interpretato con straziante bravura da Ugo Tognazzi: anacronistici baffetti alla Clark Gable, i capelli impomatati, una carriera mai decollata. In una cena, davanti ad un attore di successo, non esita a fare il pagliaccio, a ballare sopra un tavolino da salotto, fino quasi a perdere i sensi. Baggini è un guitto, un antesignano di Fantozzi, ma più tragico. Mentre tutti ridono di lui, Baggini suda, annaspa, la vista gli si annebbia. Baggini è tutti noi, quando cerchiamo il colpo d’ala che la nostra vita non ha avuto mai.

Haber, Gigi Baggini è il personaggio minore di un film di sessant’anni fa. Che cosa glielo fa sentire così vicino da intitolargli il suo libro?

"Gigi Baggini è uno sconfitto, un personaggio struggente che ho sempre tenuto accanto a me. Uno pronto a morire sul palco, anche se quel palco è un tavolino da salotto. Quando vidi Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, nel 1965, ne rimasi sconvolto. Mi colpì la scena in cui Baggini balla, una scena che racchiude tutto il suo fallimento, e tutta la cattiveria di chi gli sta intorno: l’attore di successo, interpretato splendidamente da Enrico Maria Salerno, che lo tratta come un piccolo pagliaccio alla sua corte, nessuno che si accorge che lui sta per crollare".

Ma Baggini balla ugualmente: un balletto “metafisico“ che parte dall’imitazione di un treno che parte piano poi accelera e accelera...

"Ma sì: sta per svenire, o peggio, ma è felice di ballare per gli altri, di farsi prendere per il c… Ha la speranza che quel balletto lo porti a diventare qualcuno, fuori tempo massimo. È così struggente che mi commuove. Baggini è una figura che mi ha sempre accompagnato. Ho sempre pensato che avrei fatto la sua fine, e questa sensazione ancora non mi ha abbandonato".

Lei aveva visto girare quel film. Come andò?

"Per caso, come gran parte delle cose nella mia vita. Mentre eravamo in auto, poco fuori Roma, vidi la luce dei “bruti“, i grandi proiettori del cinema. Giravano Io la conoscevo bene. Stetti ore e ore a gironzolare intorno al set, sperando che il regista mi notasse: “aaah, che bella quella faccia!“, e mi facesse lavorare. Invece niente".

In uno degli episodi di Vita da Carlo di Carlo Verdone, da poco su Amazon Prime, lei interpreta un attore dimenticato che si chiama Alessandro Haber e vaga di notte per Roma…

"E anche quello è un po’ Baggini. Uno di quei perdenti che mi fanno una tenerezza infinita".

Oggi lei ha settantaquattro anni, ha interpretato un’infinità di film, ha vinto un David, quattro Nastri d’argento. Che cosa cosa chiede alla vita, oggi, Haber?

"Mi piacerebbe godermi ancora qualche anno mia figlia Celeste, la donna più importante della mia vita. E magari arrivare a vedere un nipotino. E poi, vedere qualche altro Mondiale. La Fifa sta pensando di farli ogni due anni: nella mia fantasia, lo stanno facendo per me, per permettermi di vederne un altro po’…".

E al pensiero del tempo che passa, della figlia, dei Mondiali che vedrà e di quelli che non vedrà, la voce gli si incrina.

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