Mercoledì 24 Aprile 2024

Lydia Franceschi Madre coraggio “erede“ del figlio

“La bambina di Odessa“ di Tiziana Ferrario. Roberto fu ucciso 50 anni fa dalla polizia a Milano

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di Lorenzo Guadagnucci

"Se dovesse succedermi qualcosa, tu devi continuare nella mia lotta": una frase, un passaggio di testimone che di norma avviene fra compagni di militanza, o da vecchia a nuova generazione. A Lydia Buticchi Franceschi questo invito fu rivolto dal figlio Roberto, un atto quasi contronatura, in risposta alle preoccupazioni di lei per un ragazzo impegnato nel movimento studentesco in un clima surriscaldato. Erano i giorni roventi della morte dell’agente Antonio Annarumma (19 novembre 1969), della strage di piazza Fontana (12 dicembre) e del volo di Pino Pinelli da una finestra della questura. Lydia aveva 46 anni, Roberto appena 17. Quella frase – una premonizione – divenne tragica realtà qualche tempo dopo, il 23 gennaio 1973, quando Roberto Franceschi fu ucciso a Milano davanti all’Università Bocconi, raggiunto da un colpo di pistola alla nuca. Un colpo sparato da un poliziotto, durante un imprevisto scontro con gli studenti e i lavoratori giunti in Bocconi per un’assemblea. Una morte assurda, spari insensati: fu ferito anche l’operaio Roberto Piacentini, colpito a sua volta alla schiena.

Per Lydia Franceschi cominciò un calvario. Ma prese davvero il testimone del figlio. Si batté fino all’ultimo giorno della sua lunga vita – è morta nel 2021, a 98 anni – per tutelare il ricordo del figlio e anche per continuare la sua lotta, per tenere accesa la fiaccola dei comuni ideali di giustizia sociale. I lunghi processi non portarono a condanne: la manipolazione delle prove, gli ostacoli al corso della giustizia anche quella volta ebbero la meglio, ma la memoria di Roberto è rimasta intatta e ha consegnato alla storia la figura di un brillante studente, uno dei leader del movimento milanese, ucciso ingiustamente dalla polizia. Nel 1999 il tribunale civile stabilì che Franceschi fu certamente ucciso da un agente in servizio e alla famiglia fu riconosciuto – dopo mille contrasti legali – un risarcimento di 600 milioni di lire, interamente destinati a finanziare la Fondazione intitolata al ragazzo, ché tale è rimasto nel ricordo di un’intera generazione, anche se oggi Roberto avrebbe settant’anni.

Tiziana Ferrario, giornalista per anni volto del Tg1, ha ricostruito nel libro La bambina di Odessa (Chiarelettere, 228 pp, 18 €) la storia di Lydia, che fu sua insegnante alle scuole medie. È il ritratto di una bambina, poi ragazza e infine donna che attraversa la vita affrontando prove durissime con serenità e coraggio inusuali, un esempio colto appieno dal figlio maschio, dal quale fu però anche ispirata, in un ribaltamento di ruoli dentro la famiglia.

Lydia era nata a Odessa in un giorno speciale ma nel suo caso anche tragico, il 1° maggio, dell’anno 1923. Il padre Amedeo Buticchi era arrivato l’anno prima nella città sul Mare Nero da Genova col fratello Antonio, entrambi portuali comunisti in fuga dal fascismo.La madre Lidia Pavani, figlia di un genovese e di una russa, era morta di parto pochi giorni dopo la nascita della bambina. Amedeo e la figlia sarebbero presto rientrati in Italia, con Maria Kovalskaya, nuova moglie del padre (per Lydia una matrigna assente).

Nel ’26 un’altra tragedia: Amedeo viene ucciso per strada dal cognato. Lydia resta sola e la sua gioventù sarà costellata da periodi in collegio, lavoro precoce e un duro impegno nello studio, fino alla laurea che le permetterà di diventare insegnante e preside. Durante la guerra è una coraggiosa staffetta partigiana; riuscirà anche a far fuggire in Svizzera un cugino, Albino Buticchi, destinato a diventare famoso come presidente del Milan calcio. Da insegnante, nell’età matura, si impegna a fondo per il rinnovamento della scuola e per il diritto allo studio, e fino all’ultimo non lascerà cadere il testimone ricevuto da Roberto. Davanti alla Bocconi, dove lui morì, un monumento – un grande maglio simbolo del lavoro e dall’aspirazione all’uguaglianza – ricorda quel ragazzo; e in fondo, ora, anche la sua degna “erede“.

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