L’uomo che uccise il Che. E ne fece un mito

Morto il sergente boliviano Terán: il 9 ottobre 1967 fu lui, su ordine di Quintanilla, a sparare al guerrigliero tradito dagli agenti della Cia

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di Roberto

Giardina

È morto il soldato che in Bolivia uccise Ernesto “Che” Guevara, oltre mezzo secolo fa, il 9 ottobre del 1967. Mario Terán, per anni si è nascosto, per paura di essere eliminato dai cubani. Sei dei politici e dei militari coinvolti nella morte del “Che”, sono stati uccisi o rimasti vittime di incidenti poco chiari. Il sergente Terán si è spento, a 80 anni, all’ospedale militare di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. E per un giorno si è tornato a parlare di Guevara, un mito per due generazioni, ora finito nell’oblio. I ragazzi che indossavano le magliette con il suo volto, e attaccavano il poster del Che, lo sguardo fiero e il basco, sono ormai nonni.

"Fu il momento peggiore della mia vita – raccontava Terán –, guardavo il Che, molto grande, enorme, mi sovrastava, i suoi occhi mi fissavano e avevo le vertigini… ho temuto che mi disarmasse… Stai calmo, mi disse, e mira bene. Stai per uccidere un uomo… feci un passo indietro verso la porta, chiusi gli occhi e sparai". Si era offerto volontario come giustiziere, per un premio, per entrare nella storia?

Che Guevara era alto un metro e 75, sovrastava i soldati boliviani, ma non era un gigante. Terán andrà nel 2007 a Cuba per farsi operare di cataratta. Non aveva più paura di essere ucciso. Il Che era diventato scomodo a Cuba, Fidel Castro cominciava a temere la sua popolarità. Lui partì per il Sud America: "per creare due, tre, molti Vietnam". E si illuse. Era giunto in Bolivia poco meno di un anno prima, con un pugno di compagni. Nella alta sierra, gli erano rimasti accanto in dodici, come gli apostoli di Cristo. Lui era il Messia delle rivoluzioni. Tradito da due agenti della Cia, cubani con passaporto americano, venne accerchiato l’8 ottobre nei pressi di La Higuera. Ferito, fu portato in una scuola abbandonata della città. Il capo dei servizi segreti boliviano, Roberto Quintanilla, diede ordine di ucciderlo, senza processo, violando la legge che aveva abolito la pena di morte. Terán sparò alle 13,10. Guevara aveva 39 anni. Freddy Alborta scattò la foto del cadavere su un tavolo, un’immagine che ricorda il quadro di Andrea Mantegna.

A La Higuera venerano oggi il Che come un santo. "Era un mistico", disse l’amico Régis Debray. Un ricciolo dell’eroe rivoluzionario è andato all’asta per 118mila dollari, una reliquia. Al cadavere furono amputate le mani, come un macabro trofeo. Quintanilla voleva anche che fosse tagliata la testa, il chirurgo Moises Baptista si rifiutò.

Muore il Che e nasce il mito. Alberto Korda, fotografo di moda, scattò la storica foto di Guevara il 5 marzo del 1960 con una Leica M2. Giangiacomo Feltrinelli la portò con sé, la fece riprodurre nei poster, furono venduti a milioni, come le tshirt. Si malignò che l’editore non avesse mai pagato i diritti d’autore, una calunnia, fu Korda a rinunciare. I grafici della Feltrinelli allungarono la foto di un sesto, per smagrire il volto del Che, che era gonfio per il cortisone, lo prendeva contro l’asma. Andy Warhol trasformò la foto in un quadro.

È una storia senza fine, che coinvolge protagonisti e comparse, tra l’Europa e il Sud America, tra criminali nazisti e giovani rivoluzionari. Roberto Quintanilla è terrorizzato, teme la vendetta dei cubani, e si rifugia ad Amburgo, come console della Bolivia. Il passaporto diplomatico non lo salverà. A ucciderlo sarà una giovane bavarese, Monika Ertl, un personaggio da romanzo. È nata nel ’37, suo padre Hans è stato un operatore famoso nel III Reich, ha collaborato con Leni Riefenstahl al film Olympia, ed era il suo amante. Nel ’54, deluso dalla nuova Germania, emigra in Bolivia con la famiglia.

Monika lo adora ma rompe con il padre nel ’69 e si unisce ai ribelli. Incontra Giangiacomo Feltrinelli che le regala la sua pistola, come ricorda il figlio Carlo. Il primo aprile del ’71, una ragazza bionda si presenta al consolato per chiedere un visto. La riceve Quintanilla, Monika gli spara tre colpi a bruciapelo, si allontana con calma, getta la parrucca e la pistola di Feltrinelli. E un biglietto con la scritta "Sieg oder Tod", vittoria o morte, lo slogan dei ribelli sudamericani, per lasciare la firma. Torna in Bolivia, sulla sua testa viene posta una taglia di 20mila dollari. Un onore, per la morte del Che, il premio era di 4200 dollari. Nessun romanziere inventerebbe la vera storia di Monika. Cadrà in trappola, e viene uccisa il 12 maggio del 1973, tradita da un amico di famiglia, un vecchio nazista come il padre, Klaus Altmann. Il nome è vero, il cognome no. In realtà è Klaus Barbie, il capo della Gestapo nella Francia occupata, chiamato il “boia di Lione”. Monika è sepolta in una tomba senza nome.

I resti di Guevara, anche le mani, torneranno a Cuba, e sono stati inumati nel mausoleo eretto in suo onore a Santa Clara, dove si svolse l’ultima battaglia della rivoluzione. Ero presente all’inaugurazione del monumento in marmo bianco e oro nel dicembre dell´88, per i trent’anni della vittoria. Giunsero decine di camionette e camion che trasportavano i barbudos. Erano i bambini delle scuole con barbe finte. Credo che il Che si sarebbe commosso.

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