
di Benedetto Colli
Camillo Langone è uno scrittore estremo, anche nel senso sottilmente erotico del latino extremus: “ciò che sta fuori“. Lo conferma La ragazza immortale, storia di un benestante signore di mezza età che si innamora, ricambiato, di una stupenda ventenne il cui nome, Be-ne-det-ta, viene sillabato come quello della Lolita di Nabokov. Ossessionato dalla morte, l’uomo la fa ritrarre dai migliori pittori d’Italia, affinché un amore anagraficamente senza futuro sia reso eterno dalla tela.
È un romanzo sullo struggente desiderio di donare l’immortalità all’amata. È un libro di città (il primo bacio sotto il Portico della Morte a Bologna, gli scheletri abbracciati di Mantova, le vie di Roma), di letture (Leopardi, Virgilio, Gómez Dávila), di piatti e vini (emiliani, soprattutto), di viaggi notturni in Maserati, di culi di Veneri (Hayez, Rubens, Boldini), di tacchi alti, di perizomi e tanga ("se la differenza esiste"), e ovviamente di pittura (Giovanni Gasparro, Riccardo Mannelli, Enrico Robusti).
È una passeggiata nel cimitero di una civiltà, la nostra, che ha dimenticato l’eterno, odiando poco, amando male, osando sempre meno, fatta da due amanti mano nella mano, finalmente fantasmi immortali.