Mercoledì 24 Aprile 2024

Lo scugnizzo con la chitarra che incantò Parigi

Henri Crolla fu secondo solo al suo maestro Django Reinhardt: veniva da Napoli e divenne amico di Prévert, Montand, Piaf

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di Massimo Cutò

"Giravo a Parigi un docufilm su Yves Montand, partito dalla Toscana e diventato chansonnier e attore. Chiunque incontrassi mi parlava di un altro personaggio: Henri Crolla. Lo pronunciavano Crollà, con l’accento sull’ultima. Al mio sguardo interrogativo dicevano: davvero non sai chi fosse? possibile?".

Nino Bizzarri è un regista che racconta storie. Nel 2003 ha girato Piccolo sole, biografia per immagini di un uomo semisconosciuto in Italia e mito in Francia. Il suo cinema è investigativo: parte dai documenti, cerca luoghi e testimonianze, indaga sui sentimenti. Scavando, ha trovato un piccolo emigrante che con la musica ha conquistato la Ville Lumière: il più grande chitarrista jazz della storia. Anzi, no: il secondo.

Chi era Crolla?

"Ho trovato il suo nome, Enrico Crolla, nell’archivio dell’Ospedale dei poveri a Napoli: nato il 26 febbraio 1920. I genitori erano mandolinisti di strada. Facevano la fame e partirono per la Francia. Si sistemarono in una baracca a Porte de Choisy, quartiere ghetto La Zone: li definivano con disprezzo rital, acronimo di rifugiati italiani. Accanto a loro nella bidonville c’era una carovana di zingari".

Un segno del destino?

"In una roulotte viveva un ragazzo sinti di dieci anni più grande: si chiamava Django Reinhardt e imparò a suonare la chitarra come un dio. Henri ne fu ipnotizzato. Decise: voglio essere come lui".

Che cosa lo colpì?

"Il talento. Il virtuosismo. Il suono senza uguali. Django sviluppò la sua tecnica rivoluzionaria dopo un terribile incidente. Perse l’uso di anulare e mignolo della mano destra ma non si arrese. Divenne il migliore".

E intanto Crolla?

"Con il banjo si esibiva nei bistrot, allungava il piattino e faceva giornata. Ci voleva poco a capirne le capacità. Se ne accorse Prévert che lo sentì alla brasseria La Coupole di Montparnasse. Il poeta aveva un clan di amici e introdusse Henri all’arte. Finché arrivo Yves Montand".

Un altro italiano emigrante?

"Fra i due l’intesa fu immediata. Fecero carriera gemella perché monsieur Ivo Livi da Monsummano era un mattatore nato: uno cantava, l’altro lo accompagnava con la melodia. Insieme in tour e in sala d’incisione. Henri era il consigliere musicale e l’amico fraterno. Gli presentò Simone Signoret dicendo: questa donna fa per te. Aveva ragione".

Qual era lo stile di Crolla?

"Non conosceva lo spartito, era autodidatta. Qualcuno trascriveva la musica che lui creava ma non sapeva leggere. Ha lasciato 40 colonne sonore di film con la Bardot, Jean Gabin, Jeanne Moreau. È stato il più grande interprete del jazz manouche gitano. Subito dopo Django, s’intende".

È la trama di Accordi e disaccordi, il film di Woody Allen?

"In parte sì. Il protagonista Sean Penn, musicista straordinario, sa che dall’altra parte dell’oceano c’è uno più bravo con la chitarra. Verità che lo ossessiona".

Che cosa provava Crolla a essere il secondo?

"Reinhardt era il maestro che l’aveva convinto di essere un musicista. La sua riconoscenza era immensa: quando l’altro entrava nel locale dove suonava, Henri posava la chitarra per rispetto. A volte li confondevano. Crolla però ci avvertiva: io sono napoletano. Li univa l’origine povera e il genio della musica".

Che uomo era l’italiano?

"Georges Moustaki mi ha rivelato: incontrarlo ha cambiato la mia vita. Non era un mago solo con la chitarra. Aveva una sensibilità particolare, sapeva capire l’altro e arrivargli al cuore. Un guaritore di anime".

Non guarì la Piaf.

"Era impossibile alleviarne la sofferenza. Edith era una figura tragica, ferita da dolori incancellabili, misteriosa. Neppure un monaco Zen come lui potè estirpare quel cancro".

Un cancro s’è portato via Crolla nel 1960: aveva 40 anni.

"Malattia ai polmoni, sette anni dopo l’emorragia cerebrale che aveva ucciso Django. Eppure ha affrontato la prova con la serenità di sempre. Alla fine di ogni lettera, disegnava un piccolo sole vicino alla firma. La moglie Colette è stata la custode della sua memoria finché è rimasta in vita: una casa modesta, le chitarre, i dischi, i giocattoli per i due figli. Non esisteva che la musica. La sua vita".

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