
Dal programma 'Trame sonore'
Roma, 2 giugno 2025 – In due giorni e mezzo ho sentito diciassette concerti, con programmi che andavano dalla ‘Missa Papae Marcelli’ di Palestrina a una prima italiana di Filidei (‘Night’ per tenore e orchestra d’archi, notevole). E poi classicissimi come la Sonata a Kreutzer di Beethoven o il Quintetto opera 44 di Schumann accanto ai ‘Sette sonetti di Michelangelo’ di Britten o una sublimissima Sinfonia a 5 di Stradella. È un vortice di musica, una vertigine, uno stordimento, un’overdose che non fa male: il mottetto ‘Iam sole clarior’ di Scarlatti (è latino, occhio, non ‘I am’) e la Ballata numero 3 di Chopin che Francesco Libetta dipana meravigliosamente dopo aver fatto ascoltare ‘Io te voglio bene assaje’, così scopri che Chopin ha plagiato Piedigrotta, il Bach suonato dal meraviglioso violoncello di Miriam Prandi e danzato dai ballerini di MusicAeterna e il Trio opera 99 di Schubert, e tanto Sostakovic, perché sono i cinquant’anni dalla morte, e non vorremo mica dimenticare Dmitrij Dmitrievic che sempre più giganteggia sul Novecento della musica e delle tragedie?
Si chiama ‘Trame sonore’, si svolge a Mantova, è forse il più bel festival musicale del mondo e sicuramente quello in cui il festival è davvero una festa. Ogni giorno, una cinquantina di appuntamenti, durata massima 40 minuti, e come dress code l’obbligo di non averlo (si suona in t-shirt, in jeans, in bermuda…), con tu-spettatore che corri da un palagio a un teatro sapendo che non riuscirai a sentire tutto, ma fermamente intenzionato a provarci. Un’amica di Macerata ha calcolato che alla fine avrà ascoltato, in tutto, trentadue concerti.
Pubblico misto, in prevalenza non autoctono, tanti stranieri, anche tanti under 40, fra gli italiani prevalenza di professoresse democratiche. Intorno ai concerti, ovviamente, incontri, agnizioni, discussioni, autografi, perché si sa che, come diceva Proust, di più bello della musica c’è solo parlare di musica. E non solo: ieri in un quarto d’ora si è passati dalla discussione se per il ‘Tancredi’ di Rossini sia meglio il finale di Venezia o quello di Ferrara (ovvio, Ferrara tutta la vita, anzi la morte perché è quello tragico) alla disputa sull’amaretto nel ripieno dei tortelli di zucca, sì, perché ci sono degli eretici che non lo mettono, vadano al rogo.
Già: il racconto non si capisce se non si pensa che tutto intorno c’è Mantova con tutto il suo Rinascimento prêt-à-porter, ettari di Mantegna, Sacri Vasi del Preziosissimo Sangue incastonati sotto le cupole di Leon Battista Alberti, Rubens a ogni angolo, cucina divinissima e rinascimentale anche lei, il salato con il dolce (si mangia benissimo perfino al self-service degli artisti), e tutto vicino a tutto il resto, sicché ci si muove solo a piedi o in bicicletta, i concerti in posti notoriamente brutti come Palazzo Ducale o Palazzo Te o il Teatro Bibiena, dove a quattordici anni suonò anche "Wolfgango Amadeo", come da lapide.
E ti viene da pensare che questi Gonzaga, come tutte le vere grandi famiglie italiane, chessò, i Medici, i Farnese, gli Este e così via, erano magari una banda di usurai e violenti e stupratori, ma sapevano scegliere la servitù, e allora avanti con Giulio Romano, Mantegna, Monteverdi e questa colossale bellezza in cui ancora sguazziamo senza esserne degni (viene in mente il sommo Paolo Poli nei panni di Caterina de’ Medici: "Ah, quel Leonardo da Vinci! Faceva una marmellata di prugne da leccarsi le dita!").
"Trame sonore" è fatto dal suo geniale direttore artistico, Carlo Fabiano, con poca gente e pochi soldi, pochissimi poi quelli che dà lo Stato. La macchina gira grazie a dei ragazzi volontari implacabilmente gentili, mentre i musicisti, anche quelli famosi e famosissimi, vengono gratis, perché anche per loro è dolce naufragare in questo mare di note e quadri, di risotti e risate, di applausi e commozioni. E viene da pensare che l’Italia migliore sia questa, provinciale e globale insieme, innamorata del suo passato ma capace di progettare il futuro, i ragazzi che inseguono il loro sogno e suonano accanto ai maestri, un’Italia ottimista nonostante il disinteresse, l’ignoranza e la volgarità dilaganti, capace ancora di entusiasmarsi per il Bello e il Buono, e anzi convinta che coincidano. Che grande lezione, dalla piccola Mantova: l’Italia che vorremmo e non avremo mai, ma che è qui, a portata di mano, fra le musiche e le pietre dei padri.