Giovedì 18 Aprile 2024

L’insostenibile dubbio d’essere una spia

Milan Kundera a 92 anni continua a dividere: a Praga la maggioranza è contraria al suo rientro. La presunta delazione nel 1950

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di Roberto Giardina

"Oggi, 14 marzo 1950, alle ore 16, lo studente Milan Kundera, nato a Brünn, il primo aprile 1929, abitante a Praga nella residenza universitaria in Georg VI Avenue ha denunciato..." Questo verbale, redatto in stile poliziesco, continua a tormentare l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere, uno dei romanzi più significativi del nostro tempo. Kundera, 92 anni, vive a Parigi dal 1975, dal 1993 scrive in francese, eppure in un’intervista confessa di continuare a sognare in ceco. Quando lasciò Praga gli fu tolta la cittadinanza, restituita solo tre anni fa, ma in patria sono divisi, la maggioranza non approva il suo ritorno.

È il destino degli esuli, accusati di aver abbandonato la lotta per fuggire all’estero, e su Kundera pesa l’accusa: è un traditore, da giovane era uno stalinista convinto, e denunciò un compagno alla polizia comunista. Nel mondo confuso e ambiguo delle spie, nulla mai può esser provato o smentito al di là di ogni ragionevole dubbio. I servizi segreti da sempre manipolano i fatti, perché Kundera non potrebbe essere a sua volta vittima di un falso?

Della vecchia accusa si torna a parlare nell’articolo che uscirà giovedí su Vita e pensiero, il bimestrale dell’Università cattolica Sacro Cuore, con il titolo Scrittori da est a ovest, da Havel a Kundera. Il tradimento vero o presunto di Milan venne rivelato nel 2008 dallo storico Asam Radilek nella rivista Respekt con prove che sembrano certe, riprese poi nel 2020 nella biografia di Jan Novak Kundera, la sua vita e i suoi anni cechi. Lo scrittore reagì con violenza: sono vittima di un complotto, non ho mai collaborato con i servizi segreti. Ma lo si accusa di aver parlato con la polizia, e da giovane scrisse poesie che esaltavano Stalin. A vent’anni si hanno illusioni, e ci si sbaglia. "Fu uno stupido errore", ammise.

Una sua amica, Iva Militka, che abitava come lui nella residenza studentesca – denunciò Milan – aveva ricevuto in custodia una borsa da Miroslav Dvoracek. I poliziotti Anton e Rosicki si recarono da Iva, perquisirono la sua stanza, nella borsa trovarono solo guanti, due cappelli. Aspettarono Miroslav che giunse alle 20 e lo arrestarono. Era un disertore, aveva vissuto illegalmente per qualche tempo in Germania, e in tasca aveva un documento di identità falso. Sfuggì alla pena di morte, fu condannato a 22 anni di lavori forzati in una miniera di uranio, e venne liberato dopo 13 anni. La sua vita era distrutta.

Perché due semplici agenti avrebbero dovuto mentire? Daniel Vernet su Le Monde scrisse che secondo l’Istituto per la storia dei regimi totalitari di Praga, il verbale non era una prova assoluta. Ma per lo Spiegel invece gli storici dell’Istituto non avevano dubbi. Milan e due amici studenti dell’Accademia del cinema erano nei guai per aver insultato un alto dirigente della scuola. I suoi compagni furono espulsi, Milan no. Un’indulgenza grazie alla delazione?

Secondo i genitori di Iva, a denunciare Dvoracek sarebbe stato il compagno e futuro marito della figlia, Miroslav Dlask. La donna riferì che negli anni Novanta il marito le confidò di aver raccontato a Kundera che Dvoracek era una spia americana. "Di Milan non m’importa nulla – dichiarò Iva – ma non so chi abbia tradito".

L’articolo di Vita e pensiero rievoca l’acceso dibattito tra Kundera e Havel, nel ’68, dopo l’invasione di Praga che mise fine alla primavera di Dubcek. Sul numero di Natale della Literarny Licki, la rivista dell’Unione scrittori, del 19 dicembre, Kundera scrisse che "per la prima volta nella storia, dalla fine del Medioevo, la Cecoslovacchia torna al centro dell’attenzione mondiale. L’invasione non è una catastrofe nazionale, come crede l’opinione pubblica piuttosto lamentosa. L’autunno cecoslovacco è superiore alla primavera, ispirata da un’élite che divise la nazione, che ora torna a essere unita".

Il più giovane Havel, nato nel ’36, non poteva tollerare la difesa indiretta dell’invasione sovietica, e rispose sulla rivista Tvar con tono ironicamente sferzante: "Questo viveur intellettuale moderatamente scettico è stato sempre incline a vedere i nostri difetti. È tipico dell’animo ceco rivolgersi al passato per non vedere il presente". E Kundera insisté, attaccando anche i profughi cechi fuggiti all´estero: "Perché non avete il coraggio di tornare in patria?"

Ma nel ’75 fu lui a fuggire in Francia. A Praga non hanno dimenticato quanto scrisse mezzo secolo fa. Havel (scomparso nel 2011) tuttavia difende Kundera: "Anche se avesse tradito, cosa che non credo, bisogna pensare a quei tempi. Giovani storici siate prudenti quando emettete giudizi sul passato, potete provocare un disastro" e esortó Milan a resistere: "Non può capitare nulla di peggio che venire diffamati dai media".

Quegli studenti a Praga erano in pericolo, venne sacrificato uno di loro. Non perché l’abbia detto Havel, penso che l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere non sia colpevole. Kundera lo scrisse nel 1984, trent’anni dopo, ma un romanzo può raccontare solo una sua verità. "Ci si rende conto della propria debolezza – dice Thomas l’alter ego del giovane Milan – e invece di resisterle ci abbandoniamo a essa".

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