Venerdì 19 Aprile 2024

L’Inferno di Dante? Per Croce era l’esilio

Tornano d’attualità gli studi del grande filosofo sul Sommo Poeta: "Quante umiliazioni a Firenze, nella sua città visse la catastrofe"

Dante (1265 - 1321)

Dante (1265 - 1321)

di Antonio Patuelli

Un secolo fa, indubbiamente il principale protagonista del sesto centenario della morte di Dante fu Benedetto Croce, con molteplici iniziative che ora vengono meglio ricostruite da Gennaro Sasso che trent’anni fa pubblicò i Taccuini di lavoro, una sorta di diari di “don Benedetto”, e ora ha redatto un’importante “Nota” all’edizione nazionale della Poesia di Dante scritta da Croce nella quale evidenzia che lo studioso napoletano completò col volume su Dante un ciclo di riflessioni iniziato con Goethe, Ariosto e Shakespeare.

Infatti, dopo aver letto e riletto diverse volte la Divina Commedia, Croce iniziò l’opera su Dante nell’autunno 1919, ben prima del centenario e senza poter nemmeno immaginare che a giugno 1920 sarebbe diventato Ministro della Pubblica Istruzione (che allora comprendeva anche la Cultura e le Belle Arti) del quinto Governo Giolitti, durante il quale, pur fra mille impegni, continuò e completò gli studi e gli scritti danteschi.

La nomina a Ministro produsse in Croce uno “sconvolgimento” e un “vortice mentale”, ma ugualmente Croce predispose e fece approvare dal Parlamento la legge che porta il suo nome per sostenere migliorie a monumenti e memorie dantesche, soprattutto a Firenze e Ravenna, e il 14 settembre 1920 pronunciò nella Biblioteca Classense di Ravenna il famoso discorso per il sesto centenario dantesco che venne seguito, a fine 1920, dalla pubblicazione, appunto, del volume (ora riedito) sulla Poesia di Dante.

Si tratta di una sorta di autorevole e semplice “guida” della Commedia e al tempo stesso di un libro di storia che è quanto mai attuale, chiaro nel linguaggio ed esplicativo del percorso effettuato dall’Alighieri nella Commedia come “peccatore che intraprende docile e compunto la via della purificazione“, da “moralista” che esprime il giudizio e gradua “i peccati e i vizi umani, e fuori quasi della stessa graduatoria pone gl’infingardi, i timidi, i perpetuamente irresoluti, inetti al bene e al male” fino agli ipocriti che lo riconducono nell’Inferno ai sentimenti etico-politici e ai suoi rapporti di amore ed odio verso la sua sognata Firenze. La città del Giglio fu, però, scrive Croce, causa “del dramma della vita” di Dante “e della catastrofe” dell’esilio dell’Alighieri, “con l’angoscia del distacco, con la povertà... con le umiliazioni... con un animo sensibilissimo che soffre di tutte le punture e quasi s’intenerisce su se stesso”.

Invece Croce indica come più benevoli i sentimenti di “amore e sollecitudine” di Dante verso la sua principale terra d’esilio, la Romagna, “lembo d’Italia a lui noto e consueto”, mentre all’estremo opposto si colloca la dura censura verso Pisa, per la crudele storia del conte Ugolino, con l’augurio che l’Arno tracimi per farne “annegare tutti gli abitanti”.

Lo storicismo di Croce si sviluppa anche nell’analisi della critica dantesca, in particolare quella dei decenni del Risorgimento, da Gioberti a Tommaseo, Balbo, Rosmini e soprattutto Giuseppe Mazzini di cui cita il sommo giudizio per la lingua, la cultura e la nazione italiana. Infatti Mazzini, anch’egli esule, scrisse che “non intendiamo di Dante che il verso e la prepotente immaginazione; ma un giorno, quando saremo più degni di lui, guardando indietro alle orme gigantesche ch’egli stampò sulle vie del pensiero sociale, andremo tutti in pellegrinaggio a Ravenna, a trarre dalla terra ove dormono le sue ossa gli auspici delle sorti future e le forze necessarie a mantenerci su quell’altezza ch’egli, fin dal decimoquarto secolo, additava a’ suoi fratelli di patria”.

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