Giovedì 18 Aprile 2024

Lina Wertmuller: "Parlo con mio marito, anche se non c’è più. E dormo poco"

La regista, 92 anni, prima donna candidata all’Oscar: "È stata dura, ma non mi sono fatta schiacciare. Giusto chiedere parità di salari". Nel 2019 il premio alla carriera. "Fellini? Esigente. Mastroianni? Dolce e semplice. De Crescenzo gesticolava troppo, gli morsi un dito"

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Travolta da un insolito destino, quello di essere la prima donna al mondo candidata a un Oscar come miglior regista. Dopo di lei, solo altre tre donne al mondo ci riusciranno. Il caschetto di capelli argentei, cortissimi, gli occhiali bianchi: dice la leggenda che ne possieda migliaia, di quelle montature, tutte identiche. Un’icona. Lina Wertmüller. Novantadue anni, più di venti film per il cinema, con quei titoli chilometrici che nessuno è mai riuscito a pronunciare per intero, tanto lavoro in tv – a cominciare dal Giornalino di Gian Burrasca, cult degli anni ‘60 – e due autobiografie pubblicate, per ripercorrere le tracce di un cammino senza fine. Nell’ottobre scorso, l’onore più immenso per chi fa cinema: l’Oscar alla carriera. A Los Angeles, sul palco, emozionata sì, ma senza scomporsi più di tanto. E senza rinunciare al piacere della provocazione: "Cominciamo dal fatto che questo Oscar è un premio molto maschile: ma perché non gli cambiamo nome, perché non lo chiamiamo, per esempio, Anna?" ha detto. E la platea, in piedi, ad applaudire. Quella sera ad abbracciarla, sul palco più prestigioso del mondo, c’erano Isabella Rossellini, Sophia Loren e sua figlia Maria Zulima.

Ritroviamo Lina Wertmüller qualche mese dopo, in un torrido agosto, quando tutto il mondo nel frattempo è stato travolto da un insolito destino. Il mondo ha fatto un triplo salto mortale carpiato, tutti ci siamo ritrovati in un turbine di ansie, preoccupazioni, smarrimenti. E lei? "Ho vissuto questi mesi insieme a Maria Zulima, al mio cane, al mio gatto. E a mio marito, Enrico, anche se fisicamente non c’è più. Parlo molto con lui, sento la sua presenza: abbiamo ancora molte cose da dirci, e ce le diciamo". Enrico Job, scenografo per Strehler, Ronconi, per Francesco Rosi e per Bellocchio, per Andy Wahrol e Paul Morrissey, pittore e scultore – ha creato la scultura La croce del papa, un crocefisso curvo esposto vicino Brescia – è stato il compagno di una vita per Lina. Si sono sposati nel 1968. Enrico è morto nel 2008, a 74 anni, per una leucemia fulminante.

Signora Wertmüller, in che modo sente vicino a sé Enrico?

"Non so dire in quale modo, ma lo sento. Parliamo a lungo, abbiamo interessi in comune, abbiamo ancora molto da dirci".

Come si riesce a stare insieme per quarant’anni, e a creare un legame più forte persino della morte?

"Ci vuole amore, tenacia, pazienza. Ma l’altra persona, alla fine, diventa una parte di te: non ti separi più da una parte di te".

Pensa che ci sia un’altra dimensione, oltre a quella che viviamo?

"Non lo so. Lei lo sa? Non so se ci sia un’altra vita: non ho mai vissuto la morte, non posso sapere come sarà".

Parliamo di vita. Del cinema che lei ha vissuto, che lei ha conosciuto. Iniziando come aiuto regista per il più grande di tutti, Federico Fellini. Che cosa significava lavorare con lui?

"Era come aprire la finestra e vedere un bellissimo panorama, che non sapevi affatto che ci fosse. Ecco, lavorare con Fellini era aprire quella finestra. Era un uomo esigente, un regista esigente: ma solo perché sapeva quello che voleva".

Insieme a Fellini, ha lavorato con Marcello Mastroianni, ne La dolce vita e in 8 ½. Che ricordo ha di lui?

"Una persona molto dolce, molto amabile, molto semplice. Era uno degli attori più richiesti, più desiderati, più amati del mondo: ma conservava una semplicità assoluta; c’era qualcosa di fanciullesco in lui".

Dopo Fellini, ha iniziato una carriera da regista, da sola. Al cinema con I Basilischi, in televisione dirigendo Rita Pavone in Gian Burrasca. È stata dura imporsi, donna, in quel mondo?

"È stata dura. Non lo nego, è stata abbastanza dura. Ma io ho un carattere sufficientemente forte: non mi sono fatta schiacciare. Del resto, mi sembra che il problema delle donne nel mondo del lavoro ci sia sempre stato, e non sia solo nel cinema".

E oggi? Con lei è stata sdoganata l’idea di una donna regista?

"In certo qual modo, sì. La nomination all’Oscar, il successo di Pasqualino Settebellezze e poi di Travolti da un insolito destino forse ha cambiato qualcosa. Ma la sensazione che le donne siano ancora poche permane".

Le donne sono anche pagate di meno. Il movimento #metoo ha puntato molto l’indice sulla disparità di salari tra uomini e donne, nel cinema. Si trova d’accordo con quel movimento?

"Sì, e trovo una cosa molto giusta che le donne debbano essere pagate quanto gli uomini. Anche le attrici vengono pagate di meno degli attori maschi, e francamente lo trovo ingiusto".

Oggi ci sono più registe donne: solo in Italia, Francesca Archibugi, Alice Rohrwacher, Valeria Golino, Laura Morante, Francesca e Cristina Comencini, Emma Dante, Susanna Nicchiarelli, Cinzia TH Torrini. Chi sente più vicina?

"Mi interessano tutte, le seguo tutte. Ho visto che la Mostra di Venezia, quest’anno, propone due film di registe italiane in concorso, e mi fa piacere. Però non mi piace neanche parlare di ‘donne’ e ‘uomini’: il talento non ha sesso. È il talento quello che conta".

Lei ha detto più volte di dormire pochissimo. Perché?

"Ho sempre dormito pochissimo, perché mi sembra di rubare il tempo alla vita. Quando non dormo scrivo, leggo, vedo film. E a volte parlo con mio marito".

Il suo attore-feticcio è stato Giancarlo Giannini: protagonista di Mimì metallurgico, di Film d’amore e d’anarchia, di Travolti da un insolito destino, di Pasqualino Settebellezze. Vi sentite mai?

"Come no! Giancarlo è un vulcano, parliamo di tutto, ha sempre qualche idea folle, non tanto di cinema quanto di elettronica: lui ha studiato ingegneria elettronica, progetta macchine, ha sempre qualche strana idea di cui mi parla".

Maria Zulima, che è nata nel 1991, che cosa fa adesso?

"Voleva fare la skipper, e lo ha fatto. Adesso vive con me, mi aiuta moltissimo nel mio lavoro, nella mia vita pubblica. E in quella privata abbiamo un rapporto bellissimo".

Prima di Fellini, lei – non ancora ventenne – ha lavorato nella rivista con i più grandi di tutti: Garinei e Giovannini. Com’erano?

"Erano l’uno l’opposto dell’altro: Giovannini allegro, esuberante, vitale: Garinei misurato, schivo. Era un farmacista, come formazione. E così è rimasto: misurava il milligrammo, nei balletti come nelle battute".

E lei come si sente, più Garinei o più Giovannini?

"Sono sempre stata più Giovannini: ho sempre preso tutto di petto".

Ma è vero che ha anche morso un dito a Luciano De Crescenzo?

"Come no! Gesticolava troppo, e io detesto gli attori che gesticolano troppo. Eravamo sul set di Sabato, domenica e lunedì con Sophia Loren e Luca De Filippo. Lui non stava mai fermo, con quel dito. Gli dissi di smetterla, ma insisteva. Al terzo richiamo, glielo morsi. E poi gli cucii la mano nella tasca della giacca, così ero sicura che quel dito non lo avremmo più visto!".

La cosa che colpisce di lei, a novantadue anni, è la risata. Pronta a sgorgare, per qualsiasi motivo. È molto vitale, molto allegra. Ama molto la vita?

"Tantissimo. Senza riserve, in ogni sua manifestazione. Chi può non amarla? È tutto quello che abbiamo".

 

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