Ligabue aveva perso le parole: "Volevo smettere"

La confessione del rocker che festeggia i 30 anni di carriera con un’antologia. "Nel 1999 col successo di Radio Freccia arrivarono i sensi di colpa"

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La rockstar non si discute, si ama. Ma Luciano Ligabue, vuoi per la saggezza dei 60, vuoi per la trasfusione del sangue di quella suora che da ragazzino gli salvò la pelle lasciandogli però i sensi di colpa della fede, è spesso il primo a mettersi in discussione. E lo fa pure nei 7 inediti di 77+7 la monumentale antologia in uscita venerdì che, cavalcando l’anniversario, fa il punto sul passato con un occhio al futuro.

Tutto accompagnato dalla biografia È andata così, scritta a due mani col giornalista Massimo Cotto, in cui il sopravvissuto e sopravvivente riavvolge la pellicola passando dai concertini con gli Orazero alle apoteosi di San Siro e Campovolo senza tralasciare il momento più delicato di questi trent’anni su e giù dal palco; quello in cui l’overdose di consenso lo spinse ad un passo dall’appendere la chitarra al chiodo. Era la fine del ’98 e lui, dopo essere passato da un trionfo all’altro, come il Robert Redford de Il candidato appena eletto al Campidoglio si fermò per un attimo a domandarsi "adesso che cosa facciamo?".

Aveva sensi di colpa?

"Penso che Una vita da mediano esprima meglio di molte altre canzoni il senso di colpa che mi portavo dentro al tempo. Avevo infilato uno dietro l’altro i successi di Buon compleanno Elvis, della raccolta di novelle Fuori e dentro il borgo, di Radiofreccia, del tour all’insegna del sold-out e sentivo il bisogno di scusarmi, come dire: è vero, ho successo, ma sappiate almeno che mi costa fatica. In mezzo al campo il mediano è quello che si sacrifica di più, che ci mette più intensità".

Un po’ radicale come reazione, quella di mollare tutto.

"Avevo pensato di chiuderla lì perché non avevo (ancora) gli anticorpi per quel tipo di notorietà. Davo troppo peso alle controindicazioni della fama e in questo, forse, c’era pure un filo di paranoia. Decisi di non decidere e radunai i ragazzi con l’intenzione d’incidere un album terapeutico, Miss Mondo, in cui parlare proprio delle difficoltà del momento. Penso che non ci sia cosa più impopolare dell’ammettere in una canzone che il successo ha i suoi lati oscuri, perché non puoi togliere alla gente quell’illusione lì. Insomma, pubblicai un album conflittuale, che deragliò forse la mia corsa, ma riuscì a salvarmi facendomi sentire un po’ più leggero".

… e iperprolifico, 77 singoli dal ’90 ad oggi sono tanti.

"Troppi. Uno ogni 4-5 mesi. Tanto nella musica che nel cinema, o nell’editoria, ho seguito sempre i miei istinti, le mie voglie, le mie urgenze, e forse anche le mie ansie, senza voler accettare il principio che in certi momenti è meglio rallentare il passo".

Altro senso di colpa. Ora si riparte da questi 7 inediti - tra cui il duetto di Volente nolente con Elisa - impreziositi da quel qualcosa che sembrava essersi un po’ perso negli ultimi anni.

"In Made in Italy e Start ero diventato, forse, un po’ più ‘cantautorale’ e un po’ meno diretto. Così mi sono messo al lavoro con la voglia di recuperare un suono che non avevo più, quello altamente chitarristico del produttore Fabrizio Barbacci. Ho sentito pure il bisogno di ritrovare quel modo di cantare di gola e di pancia che il coach a cui mi sono affidato per rieducare la voce dopo l’intervento alle corde vocali di 3 anni fa mi consiglia di evitare".

Tanto la gola è la sua.

"So di rischiare qualcosa, ma so pure che è un prezzo da pagare. Perché cantare in quel modo mi fa sentire me stesso".

L’appuntamento (per centomila) è il 19 giugno a Campovolo. Covid permettendo.

 

 

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