Giovedì 18 Aprile 2024

Nel cuore di Ligabue: "Io, Woodstock e la luna"

Il rocker ricorda l'allunaggio e il festival rock. Gli eventi che gli cambiarono la vita

Luciano Ligabue (LaPresse)

Luciano Ligabue (LaPresse)

Milano, 24 giugno 2019 - La luna e Woodstock. Di quel 1969 Luciano Ligabue ricorda solo la concitata euforia di Tito Stagno. "Avevo nove anni e non capii la portata del suo: ha toccato!" ammette lui, in concerto domani al Franchi di Firenze, il 28 al Meazza di Milano e il 6 luglio al Dall’Ara di Bologna. "Al contrario di tanti miei coetanei non ho mai sognato di fare l’astronauta e crescendo rimasi affascinato soprattutto dal mito della “messa in scena dell’allunaggio”, che alcuni sostenevano essere stata realizzata addirittura da Stanley Kubrick, ipotesi talmente pazzesca da diventare intrigante".

Poi arrivò Woodstock.

"Già, mi ci vollero però 5-6 anni (e il celebre film di Michael Wadleigh) per afferrare la portata artistica e sociale dell’evento. Sul grande schermo vidi qualcosa che andava oltre la musica e si trasformava in un’esperienza, quella di vivere in tanti lo stesso evento lasciando che la musica toccasse il cuore e l’anima di ciascuno. Un rito catartico, festoso, spirituale. Capii che la canzone ha un potere nascosto".

Allora si parlò di Woodstock Nation. Esiste una Liga Nation?

"Ma no, anche se ai concerti vedo ragazzi che vivono due o tre giorni assieme, sopportando assieme gli eventuali disagi del caso, ma durante il concerto sanno farmi arrivare comunque un’onda di passione che tutt’ora mi stordisce. E che mi manca quando sono giù dal palco. Il vero privilegio di questo mestiere è l’esperienza del concerto".

Richie Havens ha voluto che le sue ceneri fossero sparse sul prato di Woodstock.

"Io a Campovolo mi accontenterei di una lapidina. A parte gli scherzi, quel che vorrei rimanesse per davvero in chi l’ha vissuto è la memoria di quelle giornate".

Da bambino non voleva fare l’astronauta, ma l’attore. Chi era il suo divo di riferimento?

"Giuliano Gemma. Appassionato di western, stravedevo per lui. Clint Eastwood era troppo complesso, poteva incarnare sia il bene sia il male, mentre Gemma era il bene e basta. Prima che se ne andasse, ho avuto anche modo di dirglielo".

Suo padre Giovanni, che ha pure gestito una balera, diceva: i musicisti sono tutti dei morti di fame. L’ha smentito clamorosamente.

"A dire il vero fu lui a smentire se stesso, regalandomi la prima chitarra. “Giuanin”, come lo chiamavano, ben sapendo quanto li pagava, aveva questa immagine fissa dei musicisti sul lastrico. Ma un giorno se ne arrivò con una chitarra che, nel momento d’esplosione della canzone d’autore e delle radio libere ebbe su di me effetti dirompenti".

Meglio che fare l’attore…

"Già, anche se all’inizio mi sembrava irreale che la musica potesse diventare un mestiere. Era il momento dei cantautori e nel tentativo di emularli iniziai a scrivere brutte canzoni, finché un giorno non mi venne l’idea di raccontare un mio sabato sera e arrivò Sogni di rock’n’roll. Fu Pierangelo Bertoli, però, a pubblicarla per primo".

Mai sentito il desiderio di scendere dalla giostra?

"Sì, proprio nel momento di più grande soddisfazione. Nell’arco di due anni arrivarono i successi di Buon compleanno Elvis e del live Su e giù dal palco, quello della raccolta di racconti Dentro e fuori il borgo e, al cinema, quello di Radiofreccia. Una esposizione mediatica che finì col dare un’immagine di me in cui non mi riconoscevo molto".

Un po’ come il Redford de 'Il candidato' quando, vinte le elezioni, si chiede "E adesso?".

"Mi posi più o meno la stessa domanda. E la risposta fu estrema. Vale a dire un album come Miss Mondo, che era l’antitesi di Buon compleanno Elvis. Quando sfoglio le foto di quel periodo mi sto sulle scatole da solo. E se guardo il video di Una vita da mediano, pure".

A proposito del mediano, quali sono stati per lei gli avversari più duri da marcare in quel gran campionato che è la vita?

"Sul versante privato, sicuramente i distacchi. L’addio a mio padre, ma anche la durissima perdita di un figlio al sesto mese di gravidanza, perché quella vicenda, con le sue ricadute emotive sulla vita di coppia, rischiò di portarmi via pure mia moglie".

I suoi due figli si chiamano Lenny Lorenzo e Linda. È vero che la richiesta di chiamarli con le stesse iniziali del cognome gliela fece suo padre?

"Me lo fece addirittura promettere, dicendo: ti ho dato la doppia “elle”, perché sapevo che t’avrebbe portato fortuna, e tu devi fare altrettanto coi tuoi figli. Beh, con Lenny Lorenzo ho esagerato perché di elle ne ha addirittura tre".

Esiste l’overdose da successo?

"No, ma esiste il rischio di darlo per scontato, oltre all’insidia di non fartelo bastare mai. E quello diventa sì un inferno".

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