
Una vita è fatta – sempre di meno, ahinoi – di parole scritte a penna o con la...
Una vita è fatta – sempre di meno, ahinoi – di parole scritte a penna o con la macchina per scrivere, di telegrammi ricevuti (o dettati), di fogli che imprigionano l’estasi o il dolore di un momento per lasciarlo poi fluire. E magari riviverlo, dopo anni. Di carta insomma, materiale tangibile, che resta e che il tempo non corrode. Annalisa Cuzzocrea è venuta in possesso di un piccolo scrigno. È una scatola blu, ma in questo caso si potrebbe puntualizzare più che dissentire, perché Sara Scalia sostiene infatti che quella scatola sia invece a fiorellini. Sara Scalia è la figlia di Miriam Mafai. Attraverso quella scatola – che è anche un espediente narrativo ma soprattutto un dono prezioso – viene ripercorsa la vita di Miriam Mafai (scomparsa nel 2012). Una donna che ha attraversato il Novecento ma che è entrata nel secolo e nel Millennio successivo con la naturalezza di chi ha conosciuto la guerra, inseguito gli ideali di libertà e di uguaglianza, di parità di genere, in tempi in cui parlarne non solo era difficile ma spesso anche impossibile.
Miriam è stata anche comunista. Nel partito ha creduto, poi con la linea del partito non è stata sempre d’accordo, lontano dal partito ha cercato infine una sua via (1956). Per un’autodeterminazione, per un’affermazione che non fosse solo personale, ma che servisse come strada (e come modello) per altre donne.
Fin qui tutto tutto può sembrare biografia. Che sconta sempre il rischio o di essere troppo asettica o invece di essere troppo agiografica. Ma il libro di Cuzzocrea (E non scappare mai, Rizzoli editore) non è una biografia. Se ci si ostinasse a definirlo per genere letterario, si potrebbe dire che si tratta di un romanzo. Il romanzo di una vita, o meglio della vita di Miriam Mafai. La cui vita – si perdoni il gioco di parole e le ripetizioni – è di per sé un romanzo.
La differenza la fa proprio quella scatola blu. Perché quella scatola racconta cosa ha passato, cosa ha vissuto Mafai. E riusciamo, leggendolo, a entrare nel suo mondo. A comprendere ancora meglio alcune scelte. Ora proprio perché questo libro non è un giallo, un minimo di spoiler si può fare. Tra gli oggetti di Miriam c’è anche una pistola. Il segreto di quella pistola viene svelato nel tempo ai figli Luciano e Sara. Prima di Umberto Scalia, il marito di Miriam e papà di Luciano e Sara, lei a 21 anni ha avuto un altro marito. Morto suicida dopo un anno di nozze. C’è la morte in questo libro, ma c’è anche l’amore. E soprattutto la passione che è ostinazione ad andare anche contro vento. L’Italia della Miriam quarantenne – due matrimoni e la lunga storia d’amore con Giancarlo Pajetta – era un Paese perbenista. Che lei nella sua attività di partito – agli inizi nell’impegno con le braccianti in Basilicata e Abruzzo, poi nelle sedi istituzionali – e ancora nella sua attività da giornalista (una volta lasciata la politica) ha sempre cercato di scardinare. Fino alla fine dei suoi giorni.
Matteo Massi