
Michele caro, dopo aver letto il tuo Il fumo e l’incenso, ho pensato che è il romanzo ideale per questo...
Michele caro, dopo aver letto il tuo Il fumo e l’incenso, ho pensato che è il romanzo ideale per questo periodo caldo sotto molti aspetti. Per prima cosa, un giallo è il contorno perfetto alla spiaggia, alla sinuosa dolcezza della campagna, o per concludere una giornata che ci ha visti scarpinare in montagna; tutti quei casi, insomma, in cui le sinapsi hanno bisogno di una scossa per uscire dalla sonnolenza estiva. La seconda ragione sta nell’ambientazione del romanzo. Noto in questi ultimi anni una copiosa produzione di storie che si svolgono in Sicilia. Di norma scritte da autori nati in quella regione, ma non solo. Accade, a volte, che il mondo della cultura e del pensiero colgano per primi qualcosa che c’è nell’aria e la portino all’attenzione di tutti. D’altra parte dovrebbe essere la funzione principale di un intellettuale. E si dice che nulla come una storia “nera” (che sia un giallo, un noir, un hard boiled poco importa) racconti il cuore oscuro delle nostre società. Credo che questo valga anche per gli altri romanzi contemporanei di ambientazione siciliana, di qualunque genere letterario siano.
Ora che la “mafia”, in tutte le sue declinazioni, non è più quella cosa circoscritta e folkloristica di lupara, scoppola in testa e sottofondo di scacciapensieri, ma ha indossato giacca e cravatta, si è dotata di modi eleganti, conosce la grammatica e le lingue straniere e ha esteso i lunghi tentacoli in ogni istituzione, ci state ricordando la genesi del malanno. Non distraetevi, gridate. E fate bene, poiché è un veleno talmente diffuso e radicato che quasi non ne accorgiamo più. Ne fanno le spese anche i tuoi protagonisti, in larga parte adolescenti.
Scorre il tempo, passano le generazioni, eppure questa cupola malavitosa e di moralismo pruriginoso ancora rovina vite, provoca vittime, trova il suo terreno di coltura nel fatalismo, nell’omertà, nell’opportunismo. Persino nel linguaggio dei media, così pronto a trasformare l’indignazione che dovremmo provare per i colpevoli, nell’ipocrita pietismo verso le vittime, nel tuo caso “il giovane Luca”. La rabbia si stempera nella compassione e andiamo oltre, in pace con la nostra coscienza, fino alla prossima vittima.
Il piccolo mondo che tu racconti, che da Serrapriola parla a tutto il “continente”, si sarebbe accorto della tragedia molto prima che avvenisse, se solo non avesse distolto lo sguardo, con buona pace del giornalista locale Vilardo che si ritrova a seguire il caso, nonostante abbia per nume tutelare Peppino Impastato. Non so quanti campanelli d’allarme e richiami ci occorrano per aprire gli occhi.
Intanto, grazie per averlo fatto, e con una scrittura ad alta definizione, che non fa il verso al linguaggio cinetelevisivo, ma con la stessa capacità di trasportare il lettore in quel fazzoletto di terra.