
Cardinali che si avviano a partecipare a un Conclave per l’elezione di un nuovo papa
Melloni
Ancora più a fondo, però, c’è il problema dei problemi che agita i discorsi interni ed esterni al cattolicesimo. La sua versione volgare e onestamente insultante suona così: la chiesa ha perso mordente perché s’è appiattita su temi etici, istanze umanitarie, prospettive di felicità e benessere immediato, e ha lasciato da parte i temi fondamentali della fede. Per un mondo ultra-conservatore a questa vulgata seguono considerazioni disgustose sull’inferno (dove devono aver fatto una visita e verificato che ci sono solo gay, poverecriste che hanno abortito, ginecologi, papa Bergoglio e poco altro), considerazioni sull’indifferenza di papa Francesco ai temi centrali del cristianesimo, e un’altra serie di cose che finisce per i più colti con qualche accusa contro Karl Rahner, per altri in modi più pedestri.
Per un mondo ultra-liberal alla medesima vulgata seguono considerazioni sul danno causato dalla Congregazione della dottrina della fede alla teologia, al conformismo di un pensiero che si "confronta" con la filosofia moderna e post-moderna da posizioni di totale subalternità psicologica e accademica, per finire in stravaganze. In mezzo – basta guardare i titoli più letti dal clero e dal cattolicesimo militante – c’è una cosiddetta spiritualità che passa da libroidi pieni di dilemmi adolescenziali, psicologismi da rotocalco, banalizzazioni del racconto biblico letto con una naïveté esegetica desolante, più un po’ di sentimentalismo religioso al cui confronto le giaculatorie ottocentesche sembrano versi espressionisti. Ciò che accomuna tutto ciò è la decisione di evadere il problema dei problemi che – lo dico con una espressione di Christoph Theobald – è la trasmissione della fede. (...)
La modernità ha tolto di mezzo la società cristiana; i legami umani hanno cessato di essere dipendenti dal territorio agricolo o dalla dimensione urbana per attingere a dimensioni ideologiche sovraterritoriali; la cultura liberatasi dai vincoli censori e da una obbligazione moralistica ha esplorato terreni nuovi e le scienze umane e dure hanno imboccato vie sulle quali l’unica cosa che la chiesa sa fare è inseguirle con una morale semplificata sperando che qualcuno ne senta il bisogno. Risultato: nessuno sa più come si trasmetta la fede.
Sul campo le soluzioni sono pochissime: la speranza che una irrisolta "domanda di senso" generi abbastanza disperazione da rendere perfino la fede attraente; lo sforzo per una pietà a temperatura elevata che conforti e crei un minimo di dipendenza umana o psicologica; il tentativo di blandire gli ex praticanti a colpi di religiosità popolare o di mobilitazioni ideologiche; l’azione di movimenti e correnti che offrono quel quantum di partecipazioni sovranazionali ai drammi del mondo o del singolo per creare legami meno friabili al mutare delle età della vita. Da questi canali passa sì una trasmissione della fede, ma insufficiente a garantire il grande corpo della chiesa territoriale e a riattivarne il metabolismo liturgico o spirituale.
Basta un papa a trovare altre vie? No: per questo serve o un profeta o un concilio e prima di loro uno sforzo di intelligenza che ha bisogno di tacitare le voci ringhiose e fare spazio a giovani menti operose, che possono nascere e sopravvivere in un clima diverso da quello che ha segnato questi primi decenni del secolo. Serve una tregua e una pausa che sblocchi ciò che va sbloccato e prepari un tempo futuro nel quale si annidano occasioni di salvezza e pericoli di perdizione. (...)
Certo il cattolicesimo di domani avrà e sarà fatto di minoranze e avrà un baricentro più sud-orientale di quello ottocentesco: ma vedrà in ogni dove tornare alla fede cristiano-cattolica persone che, come i reborn americani, avranno subito una abrasione di tutte le dimensioni sapienziali della fede e andranno nelle chiese per trovare una predicazione se non pura, almeno dura e sentirsi motivati ad azioni e reazioni che non saranno necessariamente pacifiche.