Bologna, 1 dicembre 2024 – Giuliana cara, sono molti i motivi per cui sono contenta di aver letto il tuo romanzo L’indignata (TerraRossa edizioni). Mi piace, per cominciare, questo ribaltamento di sguardi. Se fino a poco tempo fa erano gli autori a occuparsi prevalentemente di “pubblico” (nel senso di polis, politico) e le autrici di privato e sentimenti, in questi ultimi anni capita sempre più spesso il contrario. Mi pare che a guadagnarci siano soprattutto i lettori, che dispongono su questi temi di una prospettiva doppia. Un altro motivo è la pluralità di voci: un romanzo corale non solo nella forma, ma anche nella sostanza. L’uso della prima, seconda e terza persona per i tre protagonisti narranti, non è solo uno stratagemma letterario, ma una guida precisa nelle storie che si incrociano. Voci che probabilmente si nutrono anche della tua esperienza di italiana che vive in un altro paese e si esprime in una doppia lingua, e della tua competenza di traduttrice, ovvero di chi, per mestiere, entra nei linguaggi altrui con profondità e rispetto. Da questa miscellanea è nata una scrittura precisa e sonora. Potrei dire che L’indignata è stata scritta ad alta voce.
Siamo a Madrid, fra il 2011 e 2014, anni in cui nacque e si diffuse il movimento che abbiamo chiamato “degli indignati”. Fra i giovani uomini e donne di cui racconti c’è Teresa, una cilena di 38 anni che vive in Spagna da venti e gestisce un bar che è il baricentro di questa piccola comunità. Tutti loro sono attivisti, alcuni sono stati arrestati o picchiati dalla polizia nella prima manifestazione che diede il via alle proteste, il 15 maggio 2011, altri attendono ancora di definirsi, sia nel privato che nel pubblico. Teresa sparisce, apparentemente senza motivo. L’assenza dell’amica è il vuoto attorno al quale gli altri sono costretti a costruire la propria presenza.
Fino a quel momento era sufficiente lasciarsi portare dalla corrente: la militanza, lavori precari, amori incerti, un presente sospeso a causa di un passato troppo recente per lasciarselo alle spalle. Ma ora che non c’è Teresa a dispensare birre e punti di riferimento, bisogna crescere. E come si fa? La risposta che dai nel romanzo, Giuliana, è semplice e disarmante: prendendosi cura degli altri. In un’epoca di individualismo indistruttibile, acuito dal recente isolamento per la pandemia, guardiamo alla dedizione con cui Andrés, Giulia, David e gli altri cercano e ricostruiscono la vita di Teresa come a una formula antica e quasi dimenticata. Lo fai a dire a Giulia, con chiarezza: “Los cuidados, prima di tutto. Quante volte gliel’avrò sentito dire? Il prendersi cura come chiave del cambiamento sociale”. Los cuidados: coloro di cui ci prendiamo cura. Il meccanismo attraverso il quale pubblico e privato si fondono e, attraverso il “noi” costruiamo il nostro “io”. Che bellezza che tu ce l’abbia ricordato.