
Un autoritratto di Andrea Pazienza (1956-1988), disegnatore e fumettista cui Gianluca Morozzi ha dedicato un libro: A Bologna con Andrea Pazienza (Perrone, 2024)
Un titolo carveriano per il manuale di scrittura firmato da Gianluca Morozzi in uscita il prossimo 17 giugno, Nel dubbio, scrivi (Mondadori). Un “dubbio“ che l’ha portato, negli anni, a scrivere quaranta romanzi, decine di racconti, fumetti e biografie, ultima quella su Andrea Pazienza. Con un esordio in uno dei giorni più difficili del secolo – il 12 settembre del 2001 – e decine di personaggi che nel tempo si sono evoluti passando da un romanzo all’altro, crescendo ma mai troppo per non invecchiare del tutto. Gianluca Morozzi, simbolo di Bologna, piglio ironico e sarcastico che lo sostiene nello scrivere: del caso, del caos, dell’amore, della morte e di altri demoni.
Morozzi, il manuale è il risultato del suo lavoro come docente di scrittura creativa? "È un journal, sul quale si possono fare esercizi e appunti, e anche un manuale nel quale suggerisco tecniche, esercizi e libri a tema. È stato divertente mettere su carta alcune cose che dico da quindici anni nei miei corsi".
C’è chi sostiene che le scuole di scrittura siano luoghi di produzione seriale di prodotti editoriali. "Penso sia una delle cose che dicono in rete coloro che non riescono a farsi pubblicare. Credo sia un falso mito, più americano che nostrano, simile all’idea che gli editor impongano a un autore di modificare il suo stile in favore a ciò che va di moda. Peraltro, le mode si modificano molto rapidamente".
Com’è la situazione per gli esordienti? "Sarebbe bello ci fosse verso di loro l’attenzione che c’era negli anni Novanta, penso a Culicchia, Brizzi, Silvia Ballestra, gli Under 25, i Cannibali. Vedendo però ciò che è successo per Bernardo Zannoni o Dario Ferrari penso possa ancora succedere".
La sua produzione spazia dal noir all’horror al comico attraverso romanzi, fumetti, biografie. "Ho imparato a scrivere imitando lo stile altrui, da Stephen King a Paolo Villaggio. Ho sempre amato artisti come Andrea Pazienza, spietato in Zanardi e divertentissimo in Pertini, o Woody Allen, che ha girato Amore e guerra e anche Match Point. Neil Young, che sa essere acustico e bucolico come sferragliante e rumorosissimo. Riesco a spaziare perché leggo di tutto, gli autori che leggono un solo genere li riconosci subito: seppur bravi, non escono di un millimetro dai paletti del genere stesso".
E lei come crea i suoi personaggi? "I personaggi possono nascere dall’osservazione o dall’ibridazione: immagini Woody Allen con la fisicità e l’accento di Carlo Mazzone, o il cantante dei Baustelle ibridato a Matt Smith in Doctor Who. Banalmente, spesso nascono dalla realtà. Penso a una notte d’inverno del 2000, quando fuori da un locale rock tra le campagne vedi un gigante dalla testa tonda che, in maglietta degli Iron Maiden, beve birra e legge Chiedi alla polvere alla luce di un lampione. Uno così non ha un nome, non ha un’età, non ha un codice fiscale: è l’Orrido".
Dagli esordi a oggi, cos’è stato indimenticabile? "Sicuramente il 12 settembre 2001, il giorno in cui tutto il mondo parlava di aerei e grattacieli e io entravo nella Feltrinelli di piazza Ravegnana e vedevo il mio primo romanzo, Despero, esposto nello scaffale delle novità. Ma anche Aldo Busi che parla di Blackout ad “Amici“ di Maria de Filippi".
Che cosa le piace della scrittura seriale? "Come ha detto Maurizio de Giovanni, la serialità la decide il lettore. Intendeva che la serie procede finché i lettori la sostengono, ma anche: tra un libro e l’altro di una serie i lettori fanno richieste, emerge la predilezione per uno o l’altro personaggio o sottotrama. Sta a te decidere quanto assecondarli e farti ispirare da quel che dicono".
Uscirà un film tratto da Radiomorte. "Nel mondo del cinema è sempre il caso di andarci cauti, dalla firma del contratto al grande schermo ci sono mille ostacoli. Ma se gli Dei della Settima arte non si oppongono, dovrebbe uscire un film su Radiomorte e un nuovo film, o forse una serie, su Blackout, che già era diventato un film targato Usa".
Che cosa le dona la scrittura? "Passione, imprevisti, amicizie. Avendo presentato i miei libri in qualunque contesto sensato e insensato, dall’evento ben organizzato alla birreria chiassosa di Paesello Sperduto sull’Oglio o Borghetto Sterrato di Sotto, ho anche viaggiato molto".
Quanta tenacia richiede il mestiere di scrittore? "Se non avessi avuto tenacia invece di ventiquattro anni sarei andato avanti ventiquattro mesi e poi avrei tentato il concorso per bibliotecario, o forse perso il lume della ragione".
Un altro tormentone riguarda il fatto che la sua città, Bologna, sia cambiata. "All’affermazione Bologna non più è quella di una volta, Enrico Brizzi ha dato una grande risposta: “E tu, sei quello di una volta?“ La città cambia, certi locali chiudono perché i bolognesi per primi non ci vanno più, intanto ne aprono altri. Già Guccini nel 1974 si lamentava della chiusura delle osterie che frequentava".
Lei ha un equivalente dell’Avvelenata? "Non ho avuto un Bertoncelli che mi ha fatto arrabbiare così tanto".
Dylan o Springsteen? "È come dire se voglio più bene al babbo o alla mamma".
Shameless o Adolescence? "Adolescence è notevole, con i piani sequenza, la bravura del protagonista, il mondo che racconta, ma in Shameless c’è Frank Gallagher. Solo per lui questa serie ha vinto tutto".
Paz o …? "O niente. Nessuno è come Paz".