Sabato 14 Giugno 2025
SILVIA ANTENUCCI
Libri

Federica Manzon: "Il viaggio di Alma nella Storia. Se la geografia è destino, spostarsi è un diritto umano"

Il romanzo nella cinquina del Campiello intreccia racconto personale e scrittura della memoria. Sulle orme di un padre tra la Jugoslavia di Tito e la guerra dei Balcani: confini che sono muri e ponti.

Federica Manzon, nata 42 anni fa a Pordenone

Roma, 16 giugno 2024 _ L’identità, i legami familiari, l’accoglienza. I confini, che come le lingue possono diventare ponti o muri, e la condizione dell’esule tra anelito all’appartenenza e urgenza del distacco. Quindi la Storia che si compie, la geografia che è destino e lo spostarsi come "bisogno e diritto umano". Con una scrittura che è azione, memoria e restituzione della complessità per schivare semplificazioni arbitrarie, Federica Manzon riflette su temi molto attuali in “Alma” (Feltrinelli), selezionato nella cinquina finalista del Premio Campiello 2024.

La protagonista del romanzo, nel cui nome echeggia l’anima della libertà, torna per pochi giorni nei luoghi del suo passato, la città è Trieste anche se l’autrice non la nomina mai, e compie due viaggi: il primo nella sua storia personale, dove centrale è l’evanescente figura del padre, "capace di suscitare attaccamento come tutti gli incostanti e i fuggitivi sanno fare", che si occupava di scrivere i discorsi di Tito (ma dopo che lui li aveva pronunciati, pare fosse "il peggior oratore del mondo"), il secondo nella Storia: quella della nascita e della disgregazione della Jugoslavia, della guerra nei Balcani, dei conflitti che si rivelano per ciò che sono: carneficine, morte, dispersione. Alla fine, come dice il nonno di Alma, succederà "quello che succede da secoli. Gli uomini che sopravvivranno si chiuderanno in casa per non farsi riconoscere, le donne saranno disoccupate, i criminali e gli stranieri faranno fortuna (…). E si chiederanno, come facciamo a vivere accanto a quelli che mi hanno ammazzato il marito, il fratello, il figlio?".

Alma affronta temi attuali, dall’accoglienza all’essere esuli sino all’idea che "spostarsi è un bisogno e un diritto umano".

"Sicuramente scrivo per comprendere i tempi che sto vivendo. Nel caso di Alma sono stata spinta sia da una motivazione personale, l’inquietudine del bisogno di comprendere se apparteniamo a certi luoghi o se siamo liberi di sceglierceli, sia dalla constatazione che viviamo in un’epoca che tende a vedere ogni cosa come un pezzo unico. Mi sembra invece che ognuno di noi sia composto da tante parti, frutto delle interazioni con gli altri e con gli ambienti".

Lei sembra rifuggire l’accostamento, fatto da molti, tra il conflitto nei Balcani e quello della guerra in Ucraina.

"Le guerre sono legate ai popoli e ai territori, non si può accomunarle per generalizzazione. Tuttavia ho notato dei tratti comuni: il tracciare una linea netta tra vinti e vincitori, l’insistenza nel voler far coincidere un governo con un intero popolo, l’utilizzare un passato glorioso per giustificare nuove guerre".

Centrale è il tema del confine. Il mare unisce i paesi che separa, scriveva il poeta Alexander Pope. Anche i confini lo fanno?

"Certamente, e lo sa bene chi ha vissuto vicino a un confine che esso non è un muro ma qualcosa di poroso che, come scrivo nel romanzo e come fa il padre di Alma, permette di passare “di là“ e “di qua“ creando connessioni e scambi. Il confine abitua a frequentare la diversità, è così che Alma scopre che il movimento è superiore allo stare fermi e spinge a desiderare qualcosa di nuovo. Mi spaventa che in un’Europa scevra di confini si stiano alzando muri".

A proposito di confini e luoghi, la geografia è un destino?

"Può esserlo. Mentre la Storia è spesso un accidente, qualcosa che accade, la geografia ci determina: plasma il carattere, lo stare al mondo, lo sguardo su di esso e il modo d’intessere relazioni".

Nel romanzo molto spazio è lasciato ai ricordi.

"Credo che il passato sia pieno di fantasmi, di storie accadute e di persone che le hanno vissute. Alma ha un particolare legame d’amore con il passato, dove la realtà si mescola al desiderio di ricordare".

Quale funzione hanno le parole, per lei?

"Il padre di Alma dice spesso che è importante usare parole precise che restituiscano la complessità, le sfumature delle cose. Faccio molta attenzione a quelle che utilizzo, anche per questo quando scrivo leggo molta poesia: per dare alla lingua un potere creativo attraverso un linguaggio che non sia usurato. Le lingue, tra le quali esiste una continua contaminazione, possono essere sia un passe-partout che crea ponti sia un’arma affilata".

Per Alma che poeti ha letto?

"Sergej Aleksandrovič Esenin, Anna Achmátova, Robert Frost e, per stare in Italia, Milo De Angelis".

Nel romanzo descrive la fine della Jugoslavia attraverso la scena dei festeggiamenti per il ricordo del compleanno di Tito, durante la quale la Serbia, la Croazia e la Bosnia sembrano staccarsi da una danza collettiva e ballare ognuna per sé.

"È un fatto vero, sconvolgente sia che avvenissero festeggiamenti dopo alcuni anni dalla morte di Tito sia che la popolazione, come hanno documentato i cronisti dell’epoca, abbia assistito, quasi inconsapevolmente e come un avvertimento, all’anteprima danzata della disgregazione del Paese".

Alcune scene, quella di Alma che taglia in mille pezzi i vestiti che le compra la madre o quella del taccuino requisito del padre e del signore che si lancia dal tetto, sembrano avere tutte in comune un gesto di ribellione. La vita è connessa a un moto di rivolta?

"La vita è un moto di ribellione, è questa l’energia che pervade tutti i personaggi. Il padre di Alma dice che è necessario ribellarsi per essere liberi. Guglielmo Vili Knežević, con il quale Alma vive un lungo e tormentato rapporto, ne mostra la necessità nei fatti, come fotografo e combattente. A proposito della Città dei Matti della quale parlo nel libro in relazione alla madre di Alma, mi viene in mente Franco Basaglia: anche per lui il cambiamento iniziò tutto con un gesto di ribellione".

Alma sarebbe tornata indietro se non avesse dovuto recuperare l’eredità lasciatale dal padre?

"Sarebbe tornata ma sarebbe sempre ripartita. Per lei Trieste è attrazione e repulsione, anche Saba parlava di una città che spinge a ritorni e partenze. Trieste è uno specchio, ha tante parti, anime".

Siamo tutti esuli?

"Io credo di sì. Tutti ci siamo mossi, allontanati da qualcosa, riavvicinati. C’è sempre un altrove da lasciare e al quale tornare".