
Eraldo Affinati, 69 anni: dal 2008 con la moglie Anna Luce Lenzi ha fondato le scuole Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti
La sua idea, l’ha seminata ormai qualche anno fa, con coraggio, per usare la parola-faro del festival culturale “Seminare Idee“, in corso a Prato e alla sua prima edizione (oggi è l’ultimo giorno). È un’idea incastonata nella contemporaneità di un mondo che ha le migrazioni come spina dorsale, traiettorie di un oggi dinamico. E dove la lingua, ancora di più, diventa ponte di relazioni: non solo strumento per capire, ma anche per “capirsi“. Eraldo Affinati, scrittore, insegnante e figura di spicco della pedagogia contemporanea, insieme a sua moglie Anna Luce Lenzi, docente, ha fondato nel 2008 a Roma la scuola Penny Wirton (dal titolo di un romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo) per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti. Oggi conta una settantina di postazioni didattiche dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia coinvolgendo migliaia di persone, inclusi i liceali italiani che vengono formati come piccoli docenti per i loro coetanei immigrati. Ieri a Prato Affinati ha dialogato con Laura Bosio, scrittrice e responsabile della Penny Wirton di Milano.
Il titolo del festival è “Seminare Idee“. Lei ha seminato parole, esperienze e relazioni in ambito educativo e letterario. Che tipo di seme sente di voler lasciare ai partecipanti del festival?
"Innanzitutto il seme della speranza, lo dico sia come insegnante che come scrittore. Sono a contatto con ragazzi vengono da tutto il mondo e vedo in loro fiducia verso il futuro. Lo vedo nei ragazzi che frequentano le scuole Penny Wirton. Sono scuole che lavorano in rapporto uno a uno. Anche in Toscana ne abbiamo tante. Sono scuole che nascono per germinazione spontanea. Magari anche questo festival si rivelerà un seme per far crescere e sviluppare una nuova scuola".
Lei ha sempre cercato una scrittura che si confronti con la realtà, anche quella più aspra. In che modo crede che la letteratura possa ancora oggi incidere concretamente sul tessuto sociale?
"Io nel mio piccolo sono un esempio di come la letteratura possa incidere, visto che convive con il tema educativo. Nell’ultimo mio libro Testa, cuore e mani (editore libreria Vaticana), racconto tutti gli educatori operativi a Roma nei secoli passati, da San Paolo a Maria Montessori".
Perché ha scelto questo titolo?
"Testa, cuore e mani è un’espressione usata da Papa Francesco che recuperò un’intuizione di antichi pedagogisti: significa che ci vuole pensiero, sentimento, ma che bisogna anche mettersi in gioco concretamente. Nel libro racconto ad esempio di Maria Montessori a Roma: a San Lorenzo sono andato a vedere dove fondò “l’asilo di caseggiato“. Nella scrittura io sono molto legato ai luoghi, alle esperienze che ho fatto".
Raccontare i grandi educatori del passato con la speranza di incidere su un oggi piuttosto buio...
"La letteratura, ovviamente, non può risolvere il problema della guerra, non illudiamoci, ma può proiettare sulla pagina le tensioni presenti nell’animo umano e indicare i valori etici da percorrere".
L’esperienza della Penny Wirton, la scuola per migranti che ha fondato con sua moglie, è unica nel panorama educativo italiano. Qual è la più grande lezione che ha imparato dai suoi studenti stranieri?
"Quella di una capacità di ricrescita. E la fiducia. Ci sono donne che arrivano con i loro bambini da lontanissimo: rappresentano elemento luminoso. Come i tanti ragazzi italiani che fanno parte di questa realtà: diventano docenti dei loro coetanei. Questo è bellissimo. E la bellezza di questo progetto, che è anche molto rigoroso nelle lezioni – io e moglie abbiamo scritto due libri, Italiani anche noi, che usiamo come manuale di insegmento per i nostri ragazzi – è che è anche un’occasione di crescita nuova".
Anche il metodo è “speciale“...
"Esatto, agli studenti non diamo una classe, diamo una persona. Nessun educatore può limitarsi a essere uno spartitore di traffico concettuale. Ci interessa la qualità della relazione umana. Recuperiamo la lezione di don Milani, che ci ha insegnato a dare fiducia ai giovani. Non partiamo da un programma, partiamo dalla persona".
Prato, dove è in corso la prima edizione del festival “Seminare Idee“, è una città simbolo della convivenza, non sempre facile comunque, tra culture diverse. Lei che lavora ogni giorno con ragazzi migranti, vede nella scuola il primo vero terreno di integrazione o non siamo ancora a questo punto?
"C’è un lavoro da fare, ma vedo che si sta facendo. Ormai in Italia soprattutto in molte scuole medie troviamo classi a maggioranza di ragazzi stranieri nati in Italia o comunque arrivati nel nostro Paese. È lì che possiamo fare la differenza. Anche trovando il modo di governare la convivenza. Penso anche ai nuovi linguaggi digitali, all’intelligenza artificiale: possono diventare strumenti nuovi e utili. Ma bisogna arrivarci preparati".
Lei ha spesso parlato di “educazione sentimentale“ come chiave per la formazione dell’individuo. Cosa intende? Come si costruisce oggi un’educazione sentimentale? Siamo abbastanza coraggiosi?
"Bisogna trovare nuove esperienze da fare con i ragazzi, non devono stare soli di fronte al computer, allo schermo, ma devono toccare con mano la realtà. Il confronto con la vera esperienza è fondamentale: se commettono un danno, ad esempio, devono capire che ne pagheranno le conseguenze, che dovranno rimediare. Questo si impara confrontandosi con l’esperienza vera. Dal punto di vista educativo va fatto capire ai ragazzi che ogni parola ha un peso".
E proprio sulle parole, sulla lingua, voi lavorate.
"Sì, conoscere il linguaggio resta fondamentale per intrecciare relazioni, per crescere dentro una società. Vediamo che quando questi ragazzi stranieri vengono nelle nostre scuole e imparano la lingua italiana, imparano a raccontarsi e quello che hanno vissuto diventa quasi una frattura che si ricompone sotto i nostri occhi. Un piccolo miracolo. E questo è molto bello".