I Dieci Comandamenti sono molto più che precetti religiosi: sono archetipi, fondamenti culturali che l’arte ha interrogato per secoli. Dalla ‘Pietà’ michelangiolesca che, tra le tante cose, sublima il ‘Non uccidere’, fino al ‘Decalogo’ cinematografico di Krzysztof Kieślowski che negli anni ’80 ha riscritto i comandamenti in chiave laica e dolente, passando per la voce di Fabrizio De André ne “Il testamento di Tito”, dove i comandamenti vengono smontati e ricostruiti con rabbia, compassione e umanità. Per la narrativa italiana, nella collana ‘Dieci Comandamenti’ (Rizzoli), dieci scrittrici reinterpretano i dieci precetti in libertà stilistica e concettuale. Ilaria Gaspari, ospite del nostro vodcast ‘Il piacere della lettura’, con ‘L’Hotel del tempo perso’ si è immersa nel comandamento “Non rubare”. Ebbene sì, come suggerisce il titolo, anche il tempo si può rubare o perdere.

"Mi piacciono le cose bizzarre", confessa la scrittrice. Ed è bizzarro, ma lucidissimo, pensare al tempo come qualcosa che può essere sottratto, dilapidato, oppure nascosto sotto pile di doveri. Il suo romanzo è un giallo metafisico dove il furto non riguarda gioielli o denaro, ma ore, giorni, vite.
Non è un caso che tutto si svolga in un hotel termale fuori dal tempo, abitato da personaggi misteriosi convocati senza sapere il perché. Un po’ Agatha Christie, un po’ Dante (l’esergo di ogni capitolo è tratto dal Purgatorio), un po’ diario intimo. La narrazione, ritmata da indizi e scarti temporali, riflette su quel senso comune di essere stati espropriati del proprio tempo. Quello creativo, quello leggero, quello dedicato a sé.
"Ho scelto io il comandamento 'Non rubare', ero convinta che non l’avesse scelto nessuno. E infatti era ancora lì, libero", racconta. Ma non è il furto che ci aspetteremmo: è il tempo che se ne va mentre stiriamo, mentre ci prendiamo cura degli altri, mentre diciamo “lo faccio dopo” e quel dopo non arriva mai. È il tempo che si perde anche senza divertirsi, perché il tempo non aspetta nessuno.
Il cast del romanzo viene presentato come una pièce teatrale. Tra gli altri, Riccardo Manzetti, scrittore incompreso che accusa il mondo di non apprezzare il suo genio. Uno che crede che le donne non sappiano scrivere perché hanno meno talento. “Applicava alla letteratura lo stesso metro ottuso che gli faceva sostenere che le donne non sapessero cucinare perché i grandi chef non si annoverano fra gli stuoli di nonne armate di mattarelli”. Una battuta che denuncia con precisione chirurgica quel sessismo ancora troppo vivo in ambito letterario. "Si parla di narrativa femminile", dice Gaspari, "ma mai di narrativa maschile. Come se quella scritta dagli uomini fosse neutra, universale. Eppure, anche noi siamo tante, diverse, sorprendenti".
Sorprende anche il fatto che stavolta a incarnare l’ossessione per la bellezza sia un uomo: Daniele Longoni. Bello, consapevole di esserlo, eppure in trappola: "La vanità gli pareva un tributo doveroso a quella immeritata dote di natura", scrive Gaspari. L’aspetto, oggi, è diventato una prigione per molti, donne e uomini. E ci si perde, anche lì, tanto tempo. Tempo per diventare la propria versione filtrata, perfetta, postabile. Tempo che non ritorna.
Perché è questo, forse, il vero comandamento non scritto: non sprecare il tempo. È la sola moneta che non si può risparmiare, né guadagnare. E allora, se c’è una lezione da portar via, è che possiamo rimandare mille cose, ma non possiamo rimandare la vita.
Perché ogni minuto che passa, è uno in meno. Perché il tempo non torna, non si ferma. Perché il tempo è come l’ombra al tramonto: ti accorgi che svanisce solo quando il sole è già sparito.