
Lo scrittore e l’agosto dell’89, rievocato dal libro di Segalini: "Scappammo sui tetti e fummo arrestati all’oratorio".
Il ricordo dello scrittore Sandrone Dazieri torna agli incontri con Dario Fo, che portava i suoi spettacoli al Leoncavallo. Un Claudio Bisio agli esordi, i Cccp di Giovanni Lindo Ferretti, il collettivo musicale britannico Chumbawamba e i primi gruppi rap in Italia. Un giovanissimo Matteo Salvini che un giorno ha fatto la sua comparsa, presentandosi come "comunista padano". La "resistenza sui tetti durata 62 minuti" contro lo sgombero del 1989 dello storico centro sociale milanese, luogo di attivismo politico, cultura indipendente, solidarietà e ribellione. "Siamo scappati lungo i tetti – ricorda Dazieri – e fummo arrestati all’oratorio. In quegli anni si finiva in galera facilmente".
È sua la prefazione della nuova edizione di un libro che ha "risvegliato fantasmi che credevo sopiti e ricordi lacrimevoli" legati a uno spazio che ora rischia la chiusura. Fiamme e Rock ‘n’ Roll di Bruno Segalini (Shake Edizioni), cantante e chitarrista della band dell’underground Pila Weston, racconta un capitolo della stagione epica del centro sociale. Nelle 24 ore a cavallo tra il 15 e il 16 agosto 1989, Bruno e la sua sgangherata rock band si trovano coinvolti, un po’ per caso, un po’ per scelta, in una delle vicende leggendarie degli anni ‘80: l’opposizione allo sgombero. Una faccenda che si rivela "grossa e scottante", tra bombe molotov, gas lacrimogeni e fughe sui tetti per sfuggire alla polizia. Quel giorno c’era anche Sandrone Dazieri: "Ci sentimmo protagonisti ed eroi, e forse lo fummo davvero".
Partiamo dal giallo, la recente riapertura delle indagini sul duplice omicidio di Fausto e Iaio, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, militanti del Leoncavallo assassinati il 18 marzo 1978 proprio nei pressi del centro sociale. "La verità storica la conosciamo, perché Fausto e Iaio furono uccisi da neofascisti, ma speriamo di avere anche la verità giudiziaria. Arrivare a una svolta sarebbe importante per tutti noi, dopo che sono state spazzate via tutte le varie “piste alternative“".
Che cosa rappresenta, il Leoncavallo, per la sua storia? "È un luogo che rimane sempre nel mio cuore. In quegli anni facevo parte dei collettivi per il diritto alla casa e contro il nucleare, fino al 1994 ero nel comitato di gestione del Leoncavallo. Era un luogo dove mi sentivo a mio agio, si conoscevano persone interessanti, scorreva la vita. Un luogo importante anche per la storia di Milano. Ci occupavamo anche di alfabetizzazione informatica prima della diffusione di internet, un’avanguardia in tutti i campi. A un certo punto sono uscito dalla militanza politica, ho preso altre strade".
Ora il centro sociale è sotto sfratto e dovrà lasciare via Watteau, trovando una nuova sede. Che cosa ne pensa? "Tutto il male possibile, perché si pensa solo al profitto cancellando un pezzo di storia, mettendo al suo posto i soliti ristoranti, negozi, uffici. Lasciate in pace il Leoncavallo, lasciatelo dov’è".
Un luogo che ha ispirato anche alcuni dei suoi romanzi. "Il protagonista del mio primo romanzo, Attenti al gorilla, è un ex militante. Il Leoncavallo compare anche nel secondo, sempre con il tono della commedia nera underground. Ho giocato anche con i nomi: ad esempio Daniele Farina (storico attivista del Leoncavallo, ndr) è diventato “Daniele Zucchero“. Il poliziotto Achille Serra è “Pelide Orto“. Il mio prossimo libro, che uscirà l’anno prossimo, avrà invece come tema la religione".
Come è cambiata Milano dai tempi dell’epopea del Leoncavallo? "L’ho vista peggiorare. Negli anni ’80 l’alta borghesia apriva le porte alla cultura di strada, la povertà era considerata un problema mentre invece adesso il problema è il povero. Una città non per i cittadini ma per la finanza, che non lascia prospettive ai giovani. La vicenda del Leoncavallo è un po’ lo specchio di questi tempi".