Venerdì 13 Giugno 2025
Giorgia Messa
Libri

Colin Walsh racconta l’assenza: "Fa fluire il senso della vita"

Lo scrittore irlandese debutta con il thriller letterario “Kala“. Ed è subito bestseller

Colin Walsh, 47 anni, autore di Kala (Fazi)

Colin Walsh, 47 anni, autore di Kala (Fazi)

Un esordio da bestseller, 125.000 copie vendute: Kala (Fazi editore, traduzione di Stefano Tummolini), il primo romanzo di Colin Walsh, è stato tra i migliori libri dell’anno per The Guardian, Crimereads e altri. Un thriller letterario che trascina i lettori in un’intricata indagine fattuale e psicologica. Una ragazzina di quindici anni scompare al termine di un’estate elettrizzante trascorsa con cinque amici. Tre di loro si ritroveranno, ormai cresciuti, a fare i conti con quel mistero irrisolto e ad affrontare un passato da cui hanno provato a scappare, ciascuno a suo modo. Nato a Galway nel 1988, i suoi racconti hanno vinto numerosi premi. Nel 2019 è stato nominato Hennessy New Irish Writer of the Year.

Walsh, ha sempre voluto fare lo scrittore?

"Ho passato molti anni a pensare di scrivere, senza farlo davvero. Le cose sono cambiate solo quando, una sera, alcuni amici mi hanno preso da parte e mi hanno chiesto se intendessi fare sul serio. Per qualche motivo, ciò è bastato a farmi mettere d’impegno. È stato un atto di amicizia, gentile ma deciso, che mi ha scosso dall’inerzia".

Com’è passato dai racconti brevi a un romanzo di oltre 400 pagine?

"Amo i racconti, ma ho sempre voluto scrivere un romanzo: qualcosa di cinematografico, totalizzante, con la complessità emotiva e psicologica della narrativa letteraria e con il ritmo incalzante di un thriller. Avevo in mente libri come Il dio delle illusioni di Donna Tartt e Le ragazze di Emma Cline".

Ha scritto il romanzo durante il lockdown. Come ha influito quell’esperienza sul processo creativo?

"La risposta onesta, e forse ovvia, è che mi ha permesso di vivere come un monaco e scrivere senza interruzioni. Quando è arrivato il lockdown, sapevo cosa volevo scrivere e avevo risparmi sufficienti per tirare avanti diversi mesi. Così, ho lasciato il lavoro e mi sono messo alla scrivania, ogni giorno, dalle 7 alle 18. Può parere strano, ma è stato un momento di pura beatitudine. Sentivo di aver intrapreso un percorso interiore autentico".

Kala è costruito intorno a un’assenza. Quanto pesano le assenze nelle nostre vite?

"Hanno un peso enorme. Credo che la nostra stessa capacità di vivere il presente sia, in molti modi, fondata sull’assenza. Ci deve essere una frattura nel tessuto della realtà, una sorta di ferita strutturale attraverso la quale far fluire il senso della vita. “C’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce“" (cit. Leonard Cohen)".

Grande protagonista del suo romanzo è l’adolescenza. Qual è la sua forza narrativa?

"Ho avuto lettori di tutte le età che dopo aver letto Kala mi hanno detto: “È esattamente così che ricordo la mia adolescenza“. Non si riferivano a eventi specifici, ma alla carica emotiva di quegli anni. Tutti ricordiamo quanto fosse intenso essere adolescenti: è come se colori e suoni fossero più vivi e noi fossimo un fascio di terminazioni nervose a contatto con il mondo".

Altro tema importante è quello della responsabilità collettiva. Che ruolo ha la letteratura?

"La letteratura può fare del bene; è parte di quel coro di influenze quotidiane che ci orientano in una direzione o in un’altra. Può aprire canali di immaginazione ed empatia, spingendoci verso il nostro lato migliore. Ma il rischio è concentrarsi troppo su se stessi. Di fronte a ciò che accade oggi nel mondo – il genocidio a Gaza, il cambiamento climatico, la deriva verso forme di neofascismo – non è tanto il senso di colpa a prevalere, quanto quello di impotenza. Non esiste una soluzione semplice, ma penso che parte della risposta stia nel coltivare un senso di ‘noi’ che ci dia forza, invece di un ‘io’ disarmato e impotente".