
Giorgio De Chirico, La famiglia del pittore (1926), è alla Tate Modern di Londra
Il mondo narrativo di Andrea Bajani è popolato da protagonisti che cercano la verità, o almeno la pace, rispetto alla propria storia. Donne in fuga, madri sottomesse che colludono con padri-padroni, uomini incapaci di gestire rabbia e rapporti. Bambini che con il colore degli occhi ereditano un dolore sconfinato che si portano addosso come uno zainetto di scuola sulle spalle. In Se consideri le colpe ad andarsene era una madre. Ne Il libro delle case c’era una famiglia specializzata in autodistruzione. Nel nuovo ‘L’anniversario’ (Feltrinelli), nel protagonista si compie la scelta di recidere il rapporto con i genitori: se "tutto l’insieme è una cosa disgraziata" e per il cordone ombelicale passano solo senso di colpa e devastazione, andarsene non è un gesto di fuga ma di piena responsabilità: è il movimento sano che libera noi e la nostra dimora naturale dal male.
Bajani, leggendo L’anniversario emerge la parola avversario: è questo la famiglia?
"Credo che la famiglia sia ancora il più diffuso organismo sociale che l’essere umano si è inventato per proteggersi, quindi l’opposto di un avversario. In un momento come questo, in cui c’è una tale polverizzazione di ogni punto di riferimento e una violenza diffusa, su scala planetaria e sociale, la famiglia diventa il perno delle esistenze di milioni di individui. Va da sé che nel momento in cui invece succede che lungi dall’essere un luogo di protezione, diventa un luogo di minaccia, la famiglia viene meno alla sua vocazione. Questo succede nel mio romanzo e in troppe famiglie. Il protagonista non la trasforma in un avversario, ma si riconosce il diritto di sottrarsi a ciò che lo fa sentire in pericolo".
La figura della madre, con l’invisibilità e il progressivo abbandono di ogni speranza, sembra quasi più feroce di quella paterna.
"Le famiglie sono un sistema complesso, in cui potere, passione, paure, costruzione di futuro, tutto sta mischiato in un grumo. Ognuno prova a essere felice come riesce, ciascuno coinvolto nel sistema. La madre e il padre stanno dentro un’alleanza, in cui salvarsi da soli e vicendevolmente produce una fine disgraziata. Senza cattiverie, credo, come si sbaglia in tanti, a volte pensando di fare il bene. Ma finiscono, insieme, per non far sentire sicuro un posto pensato per essere un nido".
L’identità si costruisce anche per sottrazione?
"Si costruisce nella relazione, credo. Con sé stessi e con il mondo circostante. Quindi con l’empatia, l’ascolto, e il rispetto. Ma viviamo in un sistema complesso, caotico, per cui ogni ricetta, ogni proposito, va rimesso in discussione, se ci si riesce, ogni giorno".
"Se non scrivessi ogni frase, pur nella finzione, scegliendo di bandire ogni menzogna, non sarei un uomo libero": si può eliminare la menzogna dalla scrittura?
"C’è un’enorme differenza tra ciò che è reale e ciò che è vero, in letteratura. Credo che questa sia la differenza centrale di ogni principio artistico. La letteratura mira a ciò che è vero, a bandire ogni infingimento nell’andare al cuore della condizione umana. Per far questo l’arte si serve di strumenti specifici, linguistici, che includono la finzione, il distanziarsi dal reale".
La famiglia è connaturata alla violenza?
"La contiene, la violenza. È una delle forze presenti in natura, e di per sé va calibrata con le altre forze in campo. E canalizzata. La terapeuta del protagonista gli dice, nelle ultime pagine del libro, che uno dei modi virtuosi per canalizzarla e usarla è la precisione".
Il sentimento della vergogna passa di personaggio in personaggio. Il protagonista "la attraversa calpestandone ogni metro".
"La vergogna è un sentimento centrale per la scrittura. Quella personale e quella sociale. Cioè il tabù. L’anniversario credo infranga il tabù per eccellenza: se anche in famiglia ci si sente minacciati, non la si può rifiutare. Pena la vergogna, appunto. Cioè la colpa. Lo scandalo del narratore è di praticare quel rifiuto, di sottrarsi".
Sono sempre di più i libri che raccontano storie di vita o eventi autobiografici. Sono le relazioni, oggi, il centro dell’interesse?
"Credo ci sia una grande dispersione e un’emergenza identitaria. Nessuno sa più chi è. Per questo la risposta, più che nell’autobiografismo, va cercata nel romanzo, che resta una potentissima macchina di conoscenza. Abbiamo bisogno di visioni, non di confessioni".
Il 2025 è il decimo anniversario della discesa in campo di Donald Trump. Le contraddizioni sociali dell’America sono lo spazio d’elezione del presidente?
"Magari lo fossero. La contraddizione è sempre fertile, è ciò da cui siamo abitati. Trovare un posto per le contraddizioni è la vocazione della letteratura. Farne manutenzione, gestirle, è il compito della politica. È la semplificazione del messaggio, al contrario, lo spazio del presidente. La demagogia, il soffocamento della contraddizione".
Lei vive in Texas. "Don’t mess with Texas" è la scritta sulla maglietta del personaggio che incarna l’America in un suo racconto. "How much?" è l’essenza del sogno americano, e Musk (era) il suo messaggero?
"Mi pare l’essenza del capitalismo quando si allea con la politica. Mettere in conto i danni collaterali, mettere nel budget il costo dell’infrazione della regola, e poi procedere in maniera feroce, scellerata".
Oggi sente più attuale Pastorale americana di Roth, Lettera al padre di Kafka o Il buio oltre la siepe di Lee?
"Kafka vince sempre. Su tutti, in ogni epoca".
Googlando il suo romanzo si scopre che una delle domande più fatte da lettori e lettrici è se si tratta di un libro autobiografico. Che effetto le fa?
"È la stessa di ogni epoca, amplificata da un’epoca voyeuristica. Per questo mi pare importante rivendicare la forza del romanzo, che è un genere incodificabile, che da sempre mescola ciò che è reale e ciò che non lo è, come dicevo poco fa, per raggiungere una conoscenza che solo l’arte può dare. Solo la potenza dell’invenzione, che è, etimologicamente, un trovare ciò che chi scrive ancora non sa, che non ha vissuto. Schiacciare tutto sull’autobiografia sarebbe come accettare la morte dell’arte".