"L’horror mi ha fatto paura, col Colibrì volo"

Il premio a Locarno per una carriera di sfide e tre film in arrivo. "“Pantafa“ non vado nemmeno a vederlo, con la Archibugi è una gioia"

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di Silvio Danese

Vent’anni di set, da Panariello a Sorrentino, scorrendo tra Mazzacurati, i Taviani, Ozpetek, Ferrario, e quel Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese per cui vinse il terzo di quattro Nastri d’argento. Non è però un premio alla carriera il Leopard Challenge Award di Locarno 74 consegnato ieri a Kasia Smutniak. È un riconoscimento al modello di percorso artistico, una carriera di sfide: "Per due settimane ho pensato: se è alla carriera forse è finita – dice Kasia –. Poi mi hanno spiegato. Un rilancio". In uscita infatti ci sono tre film: Pantafa, un horror di Emanuele Scaringi, il dramma di migranti 319 di Silvio Soldini e Il colibrì di Francesca Archibugi, dal romanzo di Sandro Veronesi, prodotto dal marito Domenico Procacci.

Tutto incominciò con un secondo posto da Miss?

"Ma quale Miss. Lo dice Wikipedia, ma è pieno di cose sbagliate. Non sono nata a Pila, semmai ho trascorso la mia adolescenza a Pila. Vengo da una famiglia militare e ci spostavamo ogni 5-6 anni. Il mio brevetto da pilota non è per aliante. Quanto al concorso, fu solo una scommessa tra liceali".

Come andò?

"Proprio non ci pensavo. A scuola girava una biondona, molto antipatica. Avevo perso una scommessa con i miei amici heavy metal e la punizione fu: concorri e sfida la bionda. Sono arrivata seconda. Ho vinto un peluche che ho ancora. Mia madre era felice: per la prima volta avevo messo un abitino".

Per l’omaggio a Locarno,ha scelto Nelle tue mani di Peter Del Monte. Perché?

"È un film che mi ha segnato come attrice e, se non è una parola troppo grossa, come artista. Per la prima volta ho capito che cosa dovevo cercare nel mio lavoro. Il rapporto tra attore e regista è fondamentale, gli affidi le tue emozioni, e so solo io quanto mi costa. Deve essere qualcuno che non ti tradirà. Ho scoperto la fiducia. Non sempre funziona il set. Con Ozpetek, per esempio, siamo rimasti giorni senza parlarci per i litigi..."

Tra Favino e Moretti, come va il set del Colibrì?

"Francesca Archibugi è una donna magnifica, lei è proprio fan di questo romanzo. Io sono Marina, la moglie del protagonista, un personaggio delineato in un solo capitolo, e non è stato facile. La sceneggiatura però lo approfondisce. Non bisogna pensare a un film ‘tratto da’. È proprio il libro. Il progetto, poi, è nato un po’ in famiglia. Favino, Moretti, Francesca, siamo tutti amici. Fiducia. Casa".

Fa paura il suo primo horror? "Non credo che vedrò quel film. Ho ancora adesso disturbi del sonno...".

Che cosa è successo?

"Racconta di un personaggio con crisi ipnagogiche. La mente è sveglia e il corpo dorme. La mente vede cose, c’è una sorta di schiacciamento fisico... Fa paurissima! Chiuso il set ho incominciato il film di Soldini, completamente diverso, ma di notte, in albergo, continuavo a svegliarmi. Non ci vado a vederlo".

Perfetti sconosciuti ha il record dei remake, 18. Ha girato anche la versione polacca.

"Non volevo accettare, ma sono bilingue e ho pensato: quando mi ricapita? Come nel film italiano la casa è mia, sono io che invito. E si è presentato lo stesso problema".

Quale?

"Il pubblico non ci pensa, ma noi sul set abbiamo mangiato insieme le stesse cose per quattro settimane, ogni giorno. Gli gnocchi non posso più vederli. La nausea, il mal di pancia".

E in Polonia?

"Prima di girare ho voluto il menu. Va bene le olive per l’aperitivo, ma quando ho visto che il primo era zuppa di zucca... per quattro settimane! Poi, siccome sono italiana, dovevo fare la pasta. Bene, però mi accorgo di una cosa assurda: tra quando scolo e quando metto il sugo in sceneggiatura c’erano cinque minuti di dialoghi".

È un successo anche la serie tv Domina. Soddisfatta?

"Ho pensato che dieci anni fa sarebe stato impossibile. Facendo ricerche in libreria su Livia Drusilla ho trovato solo qualche pagina sparsa in volumi dedicati a uomini dell’Impero. L’antichità romana è tra le nostre fondamenta ed è raccontata da storici maschi. Ci siamo persi metà della nostra storia?"

La scuola che ha finanziato in Tibet ora è aperta?

"Ci sono voluti tre anni dal primo muretto. È nella regione del Mustag. Per la prima volta i bambini imparano la loro lingua, il tibetano, e dormono nella loro scuola. Ora sono tutti in lockdown. Stanno arrivando i primi vaccini".

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