Mercoledì 24 Aprile 2024

Lennon marinaio, l’ultima onda della vita

Nell’Oceano su uno yacht noleggiato in cerca d’ispirazione pochi mesi prima di morire. Fra Casanova e Crusoe, storie di barche memorabili

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di Massimo Cutò

John Lennon aveva perso l’ispirazione. Da cinque anni non scriveva musica: un vuoto nell’anima, senza soluzione. Il consigliere spirituale Yoshikawa suggerì: "Devi andare a sud-est per sfuggire alle nuvole della tua esistenza, l’allineamento delle stelle è ideale". Così il leader carismatico dei Beatles fece quello che voleva da sempre: un’avventura sull’oceano. Il viaggio più bello seguendo l’onda del padre marinaio. Non immaginava che sarebbe stato l’ultimo.

Prese a nolo un Hinckley di 13 metri chiamato Megan Jaye e con tre amici si mise agli ordini del comandante Hank Halstead. Partirono da Newport il 4 giugno 1980 diretti alle Bermuda, percorso di 635 miglia nautiche tra sole e delfini. Lennon, il meno esperto, si occupava della cucina e di un turno di guardia.

L’imprevisto però li aspettava. Il terzo giorno si scatenò una tempesta: vento a 110 chilometri orari, onde di sei metri. Dopo 48 ore al timone, Halstead esausto gli cedette il governo della barca. "Prima ti prende il panico, poi vomiti anche l’anima", avrebbe spiegato John più tardi. "Ma quando sei in mezzo all’oceano dimentichi le tue paure e ti godi la scarica di adrenalina". Nella cerata gialla, con l’acqua sugli occhiali, si fece coraggio cantando antiche canzoni del porto: i sogni mai realizzati come ne La ballata del vecchio marinaio di Coleridge.

L’11 giugno l’approdo, la magia della fiducia ritrovata e il motore dell’ispirazione che riprendeva a rombare. Il risultato di quell’esperienza fu l’album Double Fantasy, uscito a novembre: tre settimane prima della morte per mano di un fan impazzito. Resta il Megan Jaye, che continua il suo lavoro di sloop a noleggio con una targa a ricordo del viaggio. E il diario di bordo dove Lennon ha annotato, accanto allo schizzo di un sole e una vela: "Non c’è nessun posto come nessun posto".

Gli uomini, il mare, l’avventura. E le barche. Lo scrittore Nic Compton ne ha scelte 40 che considera speciali per motivi diversi, tracciandone il senso nel libro Barche memorabili edito da Nutrimenti. Barche famose o senza nome che intrecciano vita e morte. Come quella di Lennon. O come la gondola su cui Casanova fuggì dai Piombi nel 1756, tra la mezzanotte del 31 ottobre e l’alba di Ognissanti.

Seminarista pentito, libertino, giocatore d’azzardo e massone, il trentenne Giacomo era finito nel carcere della Serenissima. Ma aveva un ardito piano d’evasione. Ingredienti: una barra di ferro, un piatto di maccheroni e un frate grasso. Il grande seduttore aveva nascosto un punteruolo nelle pagine di una Bibbia, usata da vassoio per la pasta al burro da recapitare – tramite un secondino – a padre Mariano Balbi, anche lui detenuto. Il complice fece un buco nelle soffitte del Palazzo Ducale. Poi si aggrappò alla cintura di Casanova, che lo issò con sé fino al tetto. Da lì i due si calarono nella cancelleria con le lenzuola annodate. I custodi nel cortile pensarono a due magistrati rimasti chiusi per errore e spalancarono il portone. Giacomo ingaggiò due rematori e si fece portare a Mestre, sulla terraferma: "L’aria non mi era mai parsa così limpida e splendente", scrisse nelle Memorie. La gondola l’aveva salvato.

Tutt’altra storia quella del Gypsy Moth IV, il leggendario ketch di 16 metri con cui sir Francis Chichester circumnavigò il globo in solitaria. L’inglese solcò l’oceano per 226 giorni tra il ‘66 e il ‘67, coprendo una rotta di quasi 53mila chilometri e battendo tutti i record. Fu accolto a Plymouth, da dove era partito, come un eroe. Ma odiava il suo due alberi. Gli era costato troppo, aveva mille difetti e si guastò spesso nella traversata.

Barche reali e barche fantastiche. Tutte importanti. Mark Twain descrive l’avventura di Huck Finn alla deriva lungo il fiume: un viaggio iniziatico simbolo di crescita, libertà e armonia con la natura. Daniel Defoe, su un’altra riva, racconta il tentativo di Robinson Crusoe: abbandonare l’isola caraibica deserta, su cui è naufragato, con una piroga rudimentale. La corrente lo trascina al largo, teme di annegare, poi si insabbia fortunosamente. E sente per la prima volta l’isola come la sua casa: "Non sappiamo valutare i beni di cui godiamo fino a quando ci vengono a mancare", è la morale. Siamo tutti sulla stessa barca.

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