Giovedì 25 Aprile 2024

Lei cammina da sola, la rivincita della flaneuse

George Sand, Virginia Woolf e le altre. Finalmente declinata anche al femminile la figura dell’intellettuale che passeggia senza meta

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di Roberto Giardina

Flaneure non si traduce in nessuna lingua. In italiano servono almeno un paio di righe. Non è un viandante, o uno che va a zonzo, certamente va a passeggio ma non basta. Il termine viene registrato per la prima volta a Parigi nel 1810, ancora in éra napoleonica, e anche in francese ognuno lo spiega alla sua maniera: il flaneur è un intellettuale, curioso, e malinconico chissà perché, ed è un "animale di città", in campagna si fa una scampagnata, non deve avere uno scopo e una meta, e soprattutto non avere bagaglio.

Nei saggi sulla flanerie, l’arte del flaneur, trovate indicati solo uomini, da Rilke, a Walser, a Aragon, Walter Benjamin, e Baudelaire. Franz Hessel scrive che il flaneur sfoglia una città come un libro. È lui il tedesco nel triangolo di Jules e Jim, il film di Truffaut e del romanzo di Henri-Pierre Roché. Una storia vera. Ha scritto Ein flaneur in Berlin.

Mai una donna. Oggi le femministe non sono d’accordo se si debba dire ministro o ministra, ma ci si dovrebbe chiedere perché di una parola manca il femminile. La flaneuse sembra non esistere. Una donna non va a passeggio, o non dovrebbe. Una passeggiatrice è una prostituta. Le donne per bene, fino a ieri, non dovevano passeggiare in città senza scopo. Lo shopping non conta, dunque, perché un motivo lo ha, anche se non sempre si sa che cosa si cerca. Ed è comunque limitato ad alcune strade. E gli uomini non fanno shopping, almeno dicono loro, è un’attività femminile. I miei amici non mi credono quando dico che mi fa piacere accompagnare mia moglie per negozi.

Vuol rimediare Lauren Elkin con il saggio Flaneuse - le donne conquistano la città (Btb Verlag, 11 euro), che è stato scelto dal Financial Times come libro dell’anno. L’autrice, 42 anni, è americana, giunta in Europa ventenne. E ne fu conquistata. Vive a Parigi, a Londra, e a Venezia dove studia italiano: la città sulla laguna, osserva, è un labirinto, il luogo adatto dove vagare e perdersi. Per illustrare il saggio, sceglie la celebre foto di Ruth Orkin An American Girl in Italy, una statuaria ragazza che avanza per strada a Firenze sfidando gli sguardi maschili, unica donna tra uomini. Ma non racconta come fu scattata: la giovane è Ninalee Craig, 23 anni, e stava nella stessa pensione di Ruth, un dollaro a notte compresi i pasti. La foto è costruita, e richiese due ore. Era il ’51, e una bella donna sola in Italia era preda dei pappagalli.

Lauren Elkin fatica a trovare le sue protagoniste. Ricorda George Sand, che scende in strada nel 1830, vestita da uomo, una doppia sfida, e siamo in piena rivoluzione. Un esempio al limite. Non cita Lola Montez, la ballerina di flamenco divoratrice di uomini, in realtà l’irlandese Eliza Rosanna Gilbert: a Berlino nel ‘43, irrompe con il suo calesse sul viale riservato alle carrozze dei nobili. Vaga per l’Europa, ma è considerata una poco di buono. Come un secolo dopo la scrittrice Jean Rhys, mezza creola e mezza inglese, dalla vita errabonda, accettata solo in quanto compagna dell’editore Ford Madox Ford.

Nel 1888, l’anno di Jack the Ripper, la poetessa Amy Levy scrive che "the flaneuse di St. James Street rimane una creatura dell’immaginazione". Lei muore l’anno dopo, era tenuta al margine della buona società, perché ebrea, ma piaceva a Oscar Wilde.

Una flaneuse è Virginia Woolf. Lei racconta che a Tavistock Square, a Londra, ebbe l’ispirazione per Gita al faro. Il semplice To the Lighthouse nella traduzione italiana diventa una gita, forse perché meglio si addice a una signora? Virginia ama vagare per le vie di Londra, o di Oxford, dove era mal sopportata perché donna. La sua Mrs. Dalloway confida "amo passeggiare per Londra… è meglio che andare a passeggio in campagna". Per la pittrice russa Marie Bashkirtseff c’è uno stretto rapporto tra la pittura e il vagare per le strade, cogliendo una luce, un colore, un riflesso.

Martha Gellhorn è ricordata per essere stata la terza moglie di Hemingway, dal ’40 al ’45, ma era una giornalista più brava di lui. Durante la guerra di Spagna, nel ’36, a 28 anni, si trovò a Madrid assediata, senza un contratto, e dovette accontentarsi di scrivere per la rivista Collier’s: si mise a vagare per la città in cerca di gente comune, e scrisse articoli splendidi sulla vita quotidiana sotto le bombe. Era una flaneuse? Forse no, ma le donne sono migliori osservatrici degli uomini, e non riescono a vagare senza uno scopo.

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