Martedì 23 Aprile 2024

Gianni Agnelli, l'Avvocato che pareva un capo di Stato

Moriva vent'anni fa, lasciava un’eredità pesante e oggi tutto è cambiato: nelle aziende, in famiglia, nella Juventus

Gianni Agnelli, detto l’Avvocato: morì a Torino il 24 gennaio 2003, all’età di 82 anni

Gianni Agnelli, detto l’Avvocato: morì a Torino il 24 gennaio 2003, all’età di 82 anni

Giovanni Agnelli morì all’alba del 24 gennaio 2003, il 12 marzo avrebbe compiuto 82 anni. Chi abitava sulla collina colse il segnale dalle luci di Villa Frescòt rimaste accese tutta la notte. In portineria capirono prima, quando il cardinale Poletto venne chiamato d’urgenza all’ora di cena. Ma era dal pomeriggio che la voce girava per Torino, voce già sentita troppe volte negli ultimi mesi: l’Avvocato è peggiorato, sembra questione di ore. Stando a quelle voci, era già morto almeno due volte. L’avrebbe presa con umorismo anche se detestava i finali, lui che dallo stadio usciva sempre prima del fischio dell’arbitro. E quelli che lo conoscono bene assicurano che considerava anche il suo commiato possibile ma non inevitabile. Aveva annunciato ufficialmente la malattia come chi sa di potere vincere: un cancro alla prostata, affidato alle cure dei medici americani. "Ho deciso di agire con la massima trasparenza – disse - Non posso accettare che un mio problema personale si ripercuota sull’azienda".

Ma dalla scena era sparito, alimentando storie leggendarie di terapie e recuperi. Per poi ricomparire a settembre di fronte al presidente Ciampi in un giorno speciale che a molti è poi sembrato la prova generale dell’addio, l’inaugurazione della Pinacoteca del Lingotto donata alla città, diventata la sua camera ardente.

Vent’anni dopo stenterebbe a riconoscere il mondo, forse non le coincidenze. Vent’anni dopo l’ultimo Agnelli di fatto e di cognome, Andrea, fa un passo indietro e si dimette da tutte le società quotate. Via dalla Juventus dopo dodici anni con la promessa di non pensarci più, perché il futuro è una pagina bianca. Via da Exor e da Stellantis per concentrarsi su Lamse, la holding personale d’investimento controllata e presieduta tra i cui soci c’è anche la sorella Anna. Vent’anni fa più di centomila persone si misero in processione sulle rampe del Lingotto per rendere omaggio all’uomo che, se non un re, era considerato almeno alla stregua di un capo di stato.

Oggi la sua Juventus precipita in classifica e diventa virale la risposta data a Enzo Biagi sulla passione bianconera del boss mafioso Tommaso Buscetta: "Se lo rivede gli dica che è la sola cosa di cui non potrà pentirsi". Gianni Agnelli è ancora tra noi, a ricordarci quanto siamo provinciali. È tutto il resto che non c’è più. In un’intervista a Walter Veltroni Lapo Elkann, il nipote prediletto, ricorda le sue ultime parole: "Tu, tuo fratello e tua sorella restate uniti".

Perché ci pensa già la vita a sparpagliare in giro le persone. Le fa litigare, le porta in tribunale per questioni di eredità: chissà cosa direbbe ora alla figlia Margherita in guerra contro tutti. "Mio nonno è stato un magnifico ambasciatore dell’Italia nel mondo – dice il nipote più estroso di tutti, quello caduto e risorto – se non fosse stato per lui la Ferrari sarebbe finita a Henry Ford e Alfa Romeo, Autobianchi e Lancia avrebbero avuto proprietà straniere". Poi è andata come doveva andare.

Ma gli ultimi giorni di quell’inverno del 2003 non furono sereni. La Fiat era in pericolo, due anni prima c’era stato il tormentato matrimonio con General Motors e ci volle un persuasore con gli attributi come Sergio Marchionne per firmare il divorzio e aprire una pagina nuova con Chrysler dando vita a Fca, preludio di altre fusioni e del gigante Stellantis, quarto gruppo automobilistico al mondo. Lapo mette al centro del salvataggio la saggezza e l’equilibrio del fratello John, che sembra miracolosamente immune da ogni malignità: "La storia della Fiat continua con lui e grazie a lui". L’Avvocato invece ringraziava suo nonno: "Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto lui. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io ho aggiunto solo il dovere della responsabilità".

John fu scelto e formato dopo la morte prematura di Giovannino, il figlio di Umberto, quello che gli sembrava il più Agnelli di tutti. Scelse lui e non il fratello, non il figlio Edoardo, morto suicida nel 2000. Vent’anni dopo, anche senza il cognome, è l’unico di cui non si parla mai male.

 

 

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