L’arte dei Macchiaioli, poesia della rivoluzione

Da oggi al 26 febbraio nel Museo di Palazzo Blu a Pisa l’imponente retrospettiva: esposte 120 opere, da Fattori a Borrani e Lega

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di Eleonora Mancini

L’entusiasmante rivoluzione dei Macchiaioli, una delle più originali avanguardie nell’Europa della seconda metà del XIX secolo, è la protagonista della grande mostra d’autunno in apertura oggi (fino al 26 febbraio) nel Museo di Palazzo Blu a Pisa. Prodotta e organizzata da Fondazione Palazzo Blu e MondoMostre, con il contributo di Fondazione Pisa e media partner QN - La Nazione - il Giorno - il Resto del Carlino, la mostra I Macchiaioli è curata da Francesca Dini, storica dell’arte ed esperta tra le più autorevoli di questo movimento. Oltre 120 sono le opere in mostra, per lo più capolavori provenienti da collezioni private, solitamente inaccessibili, e da istituzioni museali come le Gallerie degli Uffizi, il di Milano, la Galleria d’Arte Moderna - Musei di Genova Nervi e la Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea di Roma.

L’esposizione a Palazzo Blu, articolata in 11 sezioni, racconta l’eccitante avventura di un gruppo di giovani pittori progressisti, toscani e non, che giungono in breve tempo a scrivere una delle più poetiche e audaci pagine della storia dell’arte non solo italiana. Il termine “Macchiaioli“ fu coniato nel 1862 da un recensore della Gazzetta del Popolo che così definì quei pittori che intorno al 1855 avevano dato origine a un rinnovamento in chiave antiaccademica della pittura italiana in senso realista. L’accezione era dispregiativa e giocava su un particolare doppio senso: darsi alla macchia infatti, significa agire furtivamente, illegalmente. Ma lo sguardo intimo sulla realtà a loro contemporanea, la visione antieroica e umana che i Macchiaioli ebbero del Risorgimento si sono rivelati talmente potenti da incantare ancora oggi il grande pubblico, oltre ad aver influenzato anche maestri del cinema come Luchino Visconti e Martin Scorsese.

La mostra di Palazzo Blu raccoglie le opere "chiave" di questo percorso. Il racconto prende le mosse dal fiorentino Caffè Michelangiolo, nel quale approdano nel 1855 i toscani Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Giovanni Fattori, Adriano Cecioni, Cristiano Banti, Serafino De Tivoli, ai quali si uniscono il napoletano Giuseppe Abbati, i veneti Vincenzo Cabianca e Federico Zandomeneghi, il ferrarese Giovanni Boldini, il romagnolo Silvestro Lega, il pesarese Vito D’Ancona, il romano Nino Costa. Tra i loro sostenitori ci sono Giosuè Carducci, Diego Martelli, Gustavo Uzielli. Il loro obiettivo è quello di arrivare a esprimere il sentimento di giovani uomini animati da profonde idealità patriottiche e artistiche. Valori universali che rendono i Macchiaioli attuali più che mai, capaci di affascinare e commuovere con la pienezza formale e poetica di straordinari capolavori: dalle Cucitrici di camicie rosse di Borrani a Il canto di uno stornello di Lega, alla Battaglia di Magenta di Fattori.

Sull’arte dei Macchiaioli molto si è detto senza mai però riuscire a restituire appieno quella visibilità internazionale che le spetta, perché la competizione con l’Impressionismo francese ne ha impedito una lettura completa e autonoma. Oggi si è invece più propensi a stemperare la concezione franco-centrica della storia della pittura europea del XIX secolo. E questi pittori appaiono finalmente per ciò che sono stati, ovvero la chiave di un dialogo aperto, propositivo, onesto e audace con le più importanti comunità artistiche dell’Europa del tempo.

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