Lunedì 23 Giugno 2025
GIOVANNI BOGANI
Magazine

L’arrivo di Panahi: "Finalmente qui . In cerca di pace"

Arrestato più volte in Iran, simbolo dell’opposizione. A Cannes fece scandalo la sua sedia vuota. Ora sorride.

Arrestato più volte in Iran, simbolo dell’opposizione. A Cannes fece scandalo la sua sedia vuota. Ora sorride.

Arrestato più volte in Iran, simbolo dell’opposizione. A Cannes fece scandalo la sua sedia vuota. Ora sorride.

CANNESHa vinto premi internazionali ovunque, è riconosciuto come uno dei grandi maestri del cinema mondiale. Ma da vent’anni è costretto a girare i suoi film clandestinamente, persino a mandarli di nascosto ai festival, nascosti in una torta. Per le sue opinioni politiche, è stato arrestato più volte in Iran, detenuto per mesi, interrogato per ore e ore ogni giorno, con una benda sugli occhi. Adesso Jafar Panahi, 65 anni, torna a parlare per la prima volta dopo 14 anni. E torna – con il permesso delle autorità iraniane – al festival di Cannes, che tante volte aveva lasciato una poltrona vuota per lui, e dove viene presentato in concorso il suo film It Was Just an Accident, che uscirà in Italia con Lucky Red.

Il regista, già Leone d’oro per Il cerchio, Orso d’oro a Berlino per Taxi Teheran, premiato a Cannes per la sceneggiatura di Tre volti, è volato in Francia con la moglie, a incontrare la figlia Solmaz. E a Variety ha raccontato la sua prigionia, e come il suo ultimo film nasca proprio dalla sua esperienza in carcere: It Was Just an Accident parla di un gruppo di ex detenuti che ritrovano colui che li aveva torturati, in prigione. "Quando passi otto ore al giorno bendato, seduto davanti a un muro, interrogato da qualcuno che sta in piedi dietro di te, non puoi fare a meno di chiederti: che cosa succederebbe se lo incontrassi di nuovo? Non che abbia subito pensato a farci un film", dice Panahi. "Ma quando, uscito dal carcere, passavo davanti a quei muri, mi chiedevo: che cosa ne è delle persone che erano con me?". Nelle parole iraniano del regista iraniano c’è posto anche per l’idea di una possibile riconciliazione. "Bisogna capire come, quando questo sistema collasserà, persone che sono state bombardate da mezzo secolo di propaganda medievale potranno vivere pacificamente, esprimere civilmente i loro bisogni e i loro desideri". La sentenza che lo aveva fatto finire in carcere è cancellata. Ma ugualmente, non ha potuto girare il suo film facilmente. "Data la storia, non mi avrebbero mai approvato la sceneggiatura. Ho lavorato in totale segretezza, abbiamo filmato clandestinamente".

Per la prima volta in un film iraniano, si mostra una donna, in esterni, senza il velo. Altri registi – Mohammad Rasoulof nel Seme del fico sacro a Cannes lo scorso anno – avevano usato lo "stratagemma" di mostrarle senza velo in interni, dove tutte le donne iraniane se lo tolgono. "Da quando è nato il movimento Donne, Vita, Libertà in Iran, in seguito alla morte di Mahsa Amini, uccisa dalla polizia perché non portava correttamente il velo, la società iraniana è cambiata radicalmente. Io all’epoca ero in carcere: me ne sono accorto quando mi hanno portato in ospedale, in pulmino. Ho visto donne, nelle strade, senza il velo. Ho sentito che dovevo rappresentare questa nuova realtà nel mio film".

Sembra un paradosso: ma fino a pochi anni fa, nel Museo del cinema di Teheran, c’erano tutti i premi che Panahi aveva vinto. "Ma quando ero in prigione, il mio inquisitore mi ha messo una tale pressione, proprio a causa dei miei premi, che la prima cosa che ho fatto, quando ho incontrato mia moglie, è stata dirle: “Vai al museo e riprendi i premi, perché sono un enorme problema“. Adesso sono tutti a casa mia".