La voce d’angelo che sfidò la tigre Callas

Il centenario di Renata Tebaldi, la diva ammirata da Toscanini che rifuggiva le cronache mondane. Ma non era una “colomba“

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di Carla Maria

Casanova

L’Italia si muove. E insieme il mondo intero. È il centenario di Renata Tebaldi (1922-2004) e le celebrazioni si aprono a Parma, Teatro Regio, venerdì 14, per espandersi poi in altre città e nazioni. Renata Tebaldi era nata a Pesaro e a Pesaro (città paterna) ebbe il decisivo fortuito incontro della sua vita artistica: con la leggendaria Carmen Melis, la cui fama, però, avrebbe oscurato. Il nome di Renata Tebaldi, la “voce d’angelo” di Arturo Toscanini, è entrato nell’immaginario popolare anche in virtù di un binomio quasi indissolubile: Maria Callas. Ammiratrice sconfinata (fan? Si, anche fan) di Maria Callas (alla Scala negli anni 50 c’era “solo lei”), mi sono trovata ad essere la prima biografa di Renata Tebaldi da lei autorizzata (Renata Tebaldi, la voce d’angelo, edito da Electa, poi Azzali, tradotto in inglese, francese, russo).

Andò così. Negli anni ’70, entrambe le artiste oramai fuori carriera, Renata Tebaldi era tornata alla sua casa milanese e frequentava un gruppo di amici vecchi e nuovi che lievitata intorno a Paolo Grassi. Ero tra quelli. Mi ero spesso domandata perché mai nessuno avesse scritto una biografia di Renata Tebaldi, la più grande cantante italiana del secolo e di questo, forse, la voce più bella in assoluto. Lei, lontana da beghe e intrighi,si era sempre rifiutata, adducendo la scusa che avrebbe dovuto inevitabilmente nominare colleghi, sovrintendenti e teatri, con particolari non sempre piacevoli oppure tacendo o mentendo. Aveva quindi sempre soprasseduto.

Un giorno, in Brianza, durante un ameno pic nic, in casa dello storico Carlo Belgir, dissi a Renata che mi sembrava giunto il momento per por fine a questo tabù e lei, serafica: "Ma chi me la scrive? Se lo fai tu, sì". Era presente Paolo Grassi, allora sovrintendente della Scala e presidente della Casa editrice Electa, che abbordai senza por tempo in mezzo. E lui disse "Sì, si può fare. Mi chiami mercoledì". Chiamai mercoledì e Grassi mi disse: "Passi in Electa venerdì per il contratto". Mi disse anche: "Va bene, cava amica, ma come favà a fav pavlare Venata dei suoi amovi? È un avgomento indispensabile, in una biogvafia". Risposi: "Proverò".

Cito tale particolare in quanto mi sembra significativo, per come andarono le cose. Non ho mai indagato direttamente sull’argomento amori con nessuna delle centinaia di persone intervistate. Non l’avrei fatto nemmeno con Renata. Ma un giorno arrivai da lei per l’usuale colloquio con gli occhi gonfi e la pietosa faccia tumefatta tipica di chi ha pianto tutta notte. Renata s’inquietò. "Chi ti ha conciata così? Sempre per quello là? Io ho sofferto molto per amore ma non ho mai permesso a nessuno di rompere il mio equilibrio e la mia etica di vita".

E Renata Tebaldi scelse quel giorno per raccontarmi le sue pene d’amore, dandomi una prova straordinaria di fiducia e di solidarietà femminile. Questo per dire la donna.

Maria Callas era la dea, il mostro sacro, la divina, la tigre. Ecco arrivato il punto. Callas-tigre, Tebaldi-colomba. Inesatto per entrambe. Renata aveva anche lei il suo carattere, la mitica governante Tina ne sa qualcosa. Secondo la madre Ersilia, Renata era addirittura un generale che metteva tutti in riga. Una cosa, era soprattutto Renata Tebaldi: una donna forte dall’equilibrio inattaccabile che l’ha sorretta in tutta la vita. Non si è lasciata travolgere da niente. Era una grandissima primadonna. Primadonna- nata, senza dover fare nulla per esserlo.

Anzi, la carriera svolta protervamente ai margini delle luci (mamma-cagnolino-prosciutto di Langhirano, nessuna affettazione, posa, niente feste, inviti, balli, cene, amicizie mondane, frequentazioni altolocate) sembrava costruita proprio per negarsi ogni sorta di pubblicità. Lei cantava e basta. Il suo pubblico delirava per lei. I rapporti con colleghi erano di vera amicizia, oppure di professionale cortesia senza più. Screzi? Liti? Mai. Un tremendo litigio con Rudolf Bing per via di un costume giallo. Vinse lei, naturalmente. Dimenticavo: aveva mani e viso bellissimi: piccolo naso, occhi azzurri, pelle d’avorio. Basti guardare le immagini di Desdemona, Traviata, Manon Lescaut, Fanciulla del West...

Maria Callas (ha rivoltato il mondo della lirica, è nell’Olimpo degli dei, non è paragonabile a nessuna) si è disperatamente costruita primadonna: gesti calcolati, attitudini studiate, feste, balli, inviti, cene, eleganza, amicizie mondane, frequentazioni altolocatissime. Forse non era nemmeno bellissima: occhi, naso, bocca enormi. Ma, truccatissima, era di impatto travolgente, stregava. Così, fu la prima primadonna della lirica. Poi, è bastato l’incontro con l’amore vero perché la fragile costruzione cadesse in frantumi. Priva del minimo equilibrio, perse tutto: marito, fama, voce e poi persino l’amore, come troppo spesso succede. Chi, delle due, Callas e Tebaldi, la vera primadonna? Chi, la tigre?

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