Martedì 23 Aprile 2024

La ’schiscetta’ che salvò la pausa pranzo

Morto a 97 anni Renato Caimi, inventore del contenitore in metallo che soppiantò le vecchie gavette. Il brevetto nel 1952

La ’schiscetta’ che salvò la pausa pranzo

La ’schiscetta’ che salvò la pausa pranzo

di Guido Bandera

NOVA MILANESE (Monza)

Dopoguerra esausto, palazzi bombardati, fabbriche impegnate nella ricostruzione del mito industriale di Milano. Una mattina del 1952. Un tram affollato di operai e impiegati, tute blu e giacche rivoltate. Sotto il braccio fagotti di canovacci a scacchi, scodelle e gavette reduci di guerra, per custodire il pranzo preparato dalle mogli. Una frenata brusca e uno di quegli involti vola sul pavimento di linoleum, si apre, spandendo zuppa, foglie di verza, un raro boccone di carne. Un’imprecazione e addio pranzo. L’era di Just Eat, del panino al volo, del buono pasto, non era neppure un sogno. Ma su quel tram l’intuizione di un uomo è la svolta.

Renato Caimi, imprenditore brianzolo scomparso ieri a 97 anni, un passato da dirigente alla Bianchi automobili, è su quel tram. È una folgorazione. Un contenitore in metallo (di plastica allora neppure a parlarne), con un coperchio da agganciare, nel quale chiudere ermeticamente il cibo, schiacciarlo. Un braccio a molla, come la balestra di una macchina, assicura il meccanismo. Inizia l’età della “schiscètta“, orgogliosamente pronunciata alla milanese, con la “e“ aperta. La pausa pranzo frettolosa, gastricamente precaria, dei lombardi in carriera ancora non esiste. Gli operai hanno la mensa solo nelle grandi aziende e spesso solo grazie a più di un giorno di sciopero. A scandire l’orario non è lo smartphone, ma una sirena. Come con i bombardamenti.

I sessantenni di oggi ricordano ancora il mezzogiorno scandito dall’urlo delle fabbriche, più che dal tocco delle campane. Timidi impiegati si infilano in trattorie a menù fisso; gli operai, i magütt, i manovali in lingua locale, mollano il reparto della Montecatini, ancora sporchi di acido, o i cantieri, coperti di calcina, spiegano il giornale e si buttano sul pentolino ermetico. Dove capita. Accanto, un mezzo fiasco di rosso. Pochi minuti, poi si riprende.

Ogni imprenditore in quegli anni è artefice della propria fortuna. È La stagione dei pionieri: Giovanni Borghi trasforma l’officina che produce fornelli nella Ignis e vende frigoriferi agli italiani; Eden Fumagalli converte la sua fabbrichetta di Monza e inventa la prima lavatrice italiana, battezzandola Candy, all’americana.

Caimi, diventato (ovviamente) cavaliere, un paio di compassi d’oro in bacheca, rimane essenzialmente inventore. Brevetta oggetti e la sua azienda, che sta ai vertici del distretto del design, fa ancora la stessa cosa. È lui a creare la pausa pranzo dei milanesi, è lui a dar vita a un fenomeno sociale che si evolve ma non si interrompe.

Figlia della sua schiscetta è la monoporzione, consumata da battaglioni di travet direttamente alla scrivania, appena riscaldata da un microonde. È lui a dare a schiere di lavoratori l’illusione di non perdere tempo, di risparmiare, isolandosi in un quarto d’ora di intimità davanti alla pagina sportiva. E in fondo il risparmio, di tempo e denaro, è la vera cifra del milanese di ogni epoca. Quello che si infila nervoso al bar con la monetina già in mano, per pagare il caffè all’istante.

Quello che per decenni (l’apoteosi è negli anni Settanta) snobba anche la “Tavola Calda“ per la “Tavola Fredda“, perché per un piatto di pasta, ulcera inclusa, non c’è tempo. Meglio due fette di prosciutto. Magari “l’insalatona“, altra infernale invenzione locale, frutto dell’illusione di evitare l’avvelenamento col tonno a galleggio su un mare di lattuga floscia, mentre nei grattacieli (lì sì) i dirigenti si concedono un rapido spuntino di avocado da chef pluristellato.

Caimi ha dato a tutti loro una speranza, l’idea di sbrigarsela con l’avanzo da casa, senza spendere troppo. Del resto, amava ripetere, "le idee sono l’unico capitale dell’uomo".

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