Giovedì 25 Aprile 2024

La rotta dell’odio Tra i migranti, i nostri nemici

Dalle Alpi italo-francesi al confine turco-iraniano. Il viaggio di Pagliassotti nell’inferno dell’Europa.

di Lorenzo Guadagnucci

A un certo punto del suo reportage all’incontrario lungo la rotta balcanica (da ovest verso est), nell’area di confine fra Croazia e Bosnia, Maurizio Pagliassotti scrive così: "Jungle camp, campi profughi, trafficanti, cooperanti, polizia di frontiera violenta e senza controllo, fango, pioggia, topi, bambini apolidi, condizioni di vita insostenibili: da qui in avanti il migrante non è più tale, è un nemico. (...) Dunque non li chiamerò più “migranti“". Uomini e donne di varie età e condizioni, tanti bambini, innumerevoli nazionalità: niente importa, i dettagli non contano, il nemico è un nemico e basta, e chiamarlo così, senza edulcorazioni, diventa una chiave di lettura potente (e dolorosa) di quel che sta avvenedo ai confini dell’Europa, sempre più fortezza e sempre meno istituzione capace di restare fedele alla sua missione e alle sue radici, che affondano nella dottrina dei diritti umani, nel principio della pari dignità di tutte le persone.

"È necessario riconoscere a queste persone – dice Pagliassotti, affondando la lama nella cattiva coscienza delle democrazie europee – la dignità di quello che sono: i nostri nemici. I migranti non vengono picchiati a sangue, non vengono derubati ogni notte, non marciano in colonna durante le notti senza luna, non si mimetizzano nei boschi come truppe d’assalto". Dunque nemici, non migranti.

Giornalista freelance, autore nel 2019 di un altro importante reportage migrante sulla “rotta alpina“ (Ancora dodici chilometri, Bollati Boringhieri), Pagliassotti si muove e scrive senza le pose, i tic, il linguaggio tipici dei reporter e degli inviati più scafati. Percorre migliaia di chilometri fino al Kurdistan, si sposta a piedi, in treno, in bus, prende passaggi, visita baracche e attendamenti, incontra “nemici“ e trafficanti (spesso nemici, o ex nemici anche loro) e scopre in questi ultimi persone di cinica lucidità, spesso vanitose, di certo le uniche persone di cui i migranti, i nostri nemici, si fidano davvero. Può sembrare un paradosso, ma non è così, perché il volto delle istituzioni, i rappresentanti della legalità, è ciò che i nostri nemici più devono temere.

Il passaggio dei confini per loro è il “game“, tentativi da ripetere una volta dopo l’altra, subendo angherie, violenze, ingiustizie, per ritrovarsi magari, dopo l’ennesimo insuccesso, a cercare riparo in una casa semi diroccata, sotto una tenda improvvisata. Pagliassotti non cerca di commuovere e nemmeno di indignare, non sembra preso dalla bramosia di conquistare l’emotività di chi legge e risulta sincero quando descrive la propria commozione, di fronte al nido impossibile, in una casa sventrata, di una famiglia di nemici: "Non so preché – scrive – ma a un tratto, come una forza insuperabile, sento le lacrime che mi salgono agli occhi; mi sposto e fingo di girare per quelle “stanze“ alla ricerca di chissà che cosa e mi asciugo grosse gocce che mi cadono lungo le guance, come se fossi un bambino appena colpito da un viollento schiaffo. Ingoio tutto e torno indietro". Al confine fra Serbia e Ungheria il cronista scopre "anguste tane alte sessanta centimetri" abitate dai nemici: "Gli esseri umani che vivono stipati dentro questi buchi sono inferiori agli scarafaggi e ai topi".

La guerra invisibile (Einaudi) parla in verità di noi, di quel che siamo diventati, cittadini di un’Europa che combatte un nemico improbabile e arriva fino a costruire muri "con i fondi dei cittadini"; "l’apparato militare che mettiamo in campo per fermare quattro disgraziati dà l’idea del grave turbamento psichico che pesa sulle élite europee, nonché su buona parte della popolazione. Siamo diventati pazzi, abbiamo smarrito il senso della misura". Il disturbante viaggio dalle Alpi al confine fra Turchia e Iran è l’altra faccia, al momento la più vera, dell’identità europea – teorica patria della democrazia e dei diritti umani – ostentata al cospetto del mondo. E non possiamo dire di non sapere, di non capire.

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