
La (ri)scoperta di Pea, Pound e Pasolini. Tre irregolari legati da un filo nascosto
Uno, Enrico Pea, è poco meno che dimenticato, per quanto sia stato uno scrittore fra i nostri più originali del ‘900; di un altro, Ezra Pound, è stato detto che "è stato per la poesia ciò che Albert Einstein fu per la fisica", ma è finito in un cono d’ombra per ragioni soprattutto politiche, diciamo così; il terzo, Pier Paolo Pasolini, è stato forse l’intellettuale pubblico italiano più acuto, più scomodo, più profetico, ma anche il più odiato-amato degli anni Sessanta e Settanta. Pea, Pound, Pasolini, Tre irregolari del ‘900 cui la città di Lucca – dove Pea trovò rifugio a un certo punto della sua movimentata esistenza – rende omaggio con una settimana di iniziative (fino a domenica), fra convegni letterari, pièce teatrali, performance, incontri e letture.
PPP, dunque, tre intellettuali assai diversi uno dall’altro, eppure legati fra loro da un intreccio che ha avuto come perno il poeta Pound, uomo controverso per la sua ferma, in certi momenti quasi folle adesione al fascismo (memorabili e drammatiche le sue invettive radiofoniche romane contro gli Alleati quando la guerra ormai infuriava nella penisola), eppure uomo di lettere generoso come pochi, scopritore di talenti, amico sincero, mediatore per conto altrui con editori e impresari.
Pound conobbe Pea leggendo le sue opere, e poi anche di persona, nel pieno della guerra – era il 1941 – e ne lodò il talento al suo “scandaloso” programma su Radio Roma. Il poeta dei Cantos si attentò anche a tradurre il romanzo più noto di Pea, Moscardino, un’avventura picaresca, in buona parte autobiografica, forse troppo ricca di vocaboli vernacolari e di trovate ritmiche per ottenere in inglese un risultato all’altezza dell’originale, ma la traduzione comunque uscì negli Stati Uniti nel ‘55 e poi in Italia dall’editore Scheiwiller. Pound, probabilmente, coglieva in Pea una vena di freschezza narrativa e linguistica che aveva qualcosa di avanguardistico, senza rinunciare al richiamo della tradizione.
Quanto a Pasolini, fu il poeta di Casarsa, e non viceversa, a cercare Pound: l’occasione fu un’intervista passata alla storia letteraria e televisiva del nostro paese, registrata e messa in onda nel 1968 nell’ambito di un documentario – ora disponibile su Rai Play – dedicato al poeta statunitense. Pound era tornato in Italia nel ‘58, dopo dodici anni trascorsi da detenuto psichiatrico negli Stati Uniti, una reclusione terribile ma che gli aveva risparmiato – attraverso la dichiarazione di infermità mentale – il serio rischio di finire sulla sedia elettrica, visto che era stato imputato per tradimento dopo l’arresto in Italia nel ‘45 e l’internamento nel campo di Coltano, nei pressi di Pisa, teatro – un poeta è sempre... in servizio – dei suoi celebrati Pisan Cantos, estremo atto d’amore per una terra che ancora ne ospita le spoglie (Pound morì a Venezia nel ‘72).
Pasolini, intellettuale di sinistra, comunista libertario, fiero antifascista, si presentò al cospetto di Pound con spirito di sincera ammirazione, espressa a parole ma anche attraverso i gesti, le espressioni, il tono della voce durante l’intervista con un Pound ormai anziano ma bellissimo, barba e capelli canuti, elegante, ieratico, quasi sofferente nelle sue risposte dette in italiano a bocca stretta, ma con chiarezza e precisione. Pasolini, seduto in poltrona a breve distanza dal maestro nella veranda di casa Pound a Venezia, esordì con una poesia di Pound (Patto) rivolta a Walt Whitman, riprendendone il senso: "Stringo un patto con te Ezra Pound / ti detesto ormai da molto tempo. / Vengo a te come un fratello cresciuto / che ha avuto un padre dalla testa dura / sono abbastanza grande ora per fare amicizia". Pasolini ammirava Pound per i suoi versi, per la sua cultura che spaziava dalle avanguardie del ‘900 alla Cina di Confucio: l’adesione al fascismo e gli scritti antisemiti passavano in secondo piano, dimenticati, o almeno superati. Pound era così irregolare da interessarsi di economia politica non meno che di letteratura: condusse per tutta la vita una sua lotta contro l’usura e il dominio della finanza, fra cadute nei più vieti stereotipi antisemiti e squarci di visioni quasi profetiche, visto l’enorme crescita della finanza globale osservata negli ultimi decenni. A chi gli faceva notare l’anomalia di un poeta che s’interessa di economia, lui rispondeva che "Dante prima e meglio di tutti combinò questioni simili con la poesia".
Oggi Pound è ancora un “maledetto”, ma non è più un poeta messo al bando, e Pasolini, che pure passò non poco tempo a difendersi dalle aggressioni fisiche, verbali e giudiziarie di innumerevoli avversari, è l’archetipo dell’intellettuale capace di esercitare pensiero critico. Quanto a Pea, l’oblio sulla sua opera e sulla sua stessa vita è una colpa che la cultura italiana forse comincia a espiare proprio in questi giorni a Lucca. Letterato autodidatta, giovane dai mille mestieri (servitore tuttofare, falegname, tecnico d’officina in fonderie, cantieri navali, perfino nelle ferrovie egiziane), ebbe il suo primo sostenitore e mentore nel giovane Giuseppe Ungaretti, che conobbe nella città cosmopolita in cui entrambi si trovarono a vivere a cavallo fra Otto e Novecento, Alessandria d’Egitto. Tornato in Italia, Pea pubblicò romanzi, poesie, testi teatrali e si fece, nel teatro, anche impresario, gestendo il Politeama di Viareggio. I critici gli riconoscono la capacità di unire, in poesia e prosa, la letteratura dei colti e quella che sgorga dal basso, nella parlata popolare, nelle culture più veraci; lui stesso oscillò fra l’anarchismo degli esordi e il richiamo della tradizione. Tre irregolari, tre avventure, spesso dolorose, nella storia del ‘900.