MARION GUGLIELMETTI
Magazine

La Resistenza di Benedetta: "Femminicidi, patriarcato. La battaglia delle donne è ancora da combattere"

Tobagi dedica il suo Campiello alle partigiane eroiche ma a lungo dimenticate "Ancora oggi c’è tanto da fare: in Iran e Afghanistan. E per l’antifascismo".

Benedetta Tobagi, 46 anni, alla cerimonia di premiazione a Venezia (foto Imagoeconomica)
Benedetta Tobagi, 46 anni, alla cerimonia di premiazione a Venezia (foto Imagoeconomica)

Milano, 18 settembre 2023 – Finita la guerra, smessi i panni di partigiane dopo essere state protagoniste di gesti eroici, direttamente coinvolte nel conflitto per liberare il Paese, sono state a lungo dimenticate. Ridimensionandone il ruolo alla stregua di comparse, preferendo tornassero a indossare il ruolo di madri e di mogli. Benedetta Tobagi con La Resistenza delle donne (Einaudi) ha voluto raccontare le loro gesta, quelle imprese vissute combattendo in prima linea o nelle retrovie, coinvolte in una tragica quotidianità. "Sono stata travolta dalle loro storie e dedico il Campiello alla loro memoria". Così ha sottolineato nel ricevere il premio, la voce emozionata. Oggi, all’indomani del riconoscimento ricevuto a Venezia, non può fare a meno di ribadire il valore della battaglia che hanno combattuto per riconquistare la libertà.

Chi sono le protagoniste del suo libro?

"È un racconto corale delle donne che hanno fatto la Resistenza tra il 1943 e il 1945. Donne diverse per estrazione sociale, età, livello di istruzione e provenienza geografica. Ma che hanno in comune la scelta radicale di impegnarsi contro il nazifascismo, sfidando volontariamente tutte le convenzioni sociali".

Da dove arrivano le loro storie?

"Ho attinto dalle loro stesse parole, consegnate e narrate a tre generazioni di studiose. E da racconti autobiografici o da memorie. Ma anche da fotografie".

Oggi ha ancora senso parlare di Resistenza?

"Ha sempre senso parlare di Resistenza. In molte parti del mondo le donne combattono contro regimi oppressivi e autoritari, come in Iran e Afghanistan. Ma c’è anche una resistenza a livello più profondo, ovvero quella di chi lotta per i valori dell’antifascismo, che poi sono i valori della nostra Costituzione".

C’è ancora tanto da fare.

"Moltissimo, in termini di giustizia sociale e per quanto riguarda i diritti all’istruzione e alla salute. E se andiamo a vedere il programma delle donne partigiane, possiamo dire che l’emancipazione c’è stata, ma il cammino è ancora lungo".

Istruzione, politica, economia. Il mondo del lavoro?

"Non si danno alle donne gli strumenti e gli aiuti necessari per affermarsi. Non vengono garantite le pari condizioni per esprimersi e fiorire. Eppure tutti gli studi dicono che la società ne sarebbe solo arricchita".

E quanti, troppi, episodi di violenza sulle donne.

"Una piaga sociale che deriva dal sistema patriarcale. La donna che si libera e si vuole autodeterminare, sottraendosi a un uomo, molte volte viene uccisa da quell’uomo".

Non solo…

"Abbiamo ancora dei residui di quella mentalità che colpevolizza le donne che subiscono uno stupro con parole, concetti e categorie che hanno un’assonanza assolutamente inquietante. È lo stesso stigma che colpiva le donne che subivano stupri durante la Resistenza: venivano punite con la violenza carnale, come se se la fossero cercata".

Finita la guerra, Ada Gobetti parla di "un’altra battaglia più lunga, più difficile e più estenuante, anche se meno cruenta".

"Tutta la Resistenza è stata dura, ma alle donne è toccato un destino peggiore. Perché finito quel periodo c’è stata una fortissima pressione sociale per rimetterle all’interno delle mura domestiche. Il fascismo era finito, ma il patriarcato no. E con questo libro ho voluto rendere omaggio proprio a loro e alle tre generazioni di studiose – ex partigiane, attiviste e femministe – dalle quali ho preso il materiale per il mio lavoro".

Un ruolo dimenticato che viene riportato alla luce.

"La storia pubblica si unisce a quella privata e personale. Ma c’è un filo rosso che unisce le protagoniste del libro, le studiose che hanno raccolto il materiale e io che l’ho ritessuto. La ricerca non dovrebbe mai stare in una torre d’avorio, ma dovrebbe calarsi nel tempo e rispondere alle domande. Bisogna disotterrare il passato e renderlo nutrimento del presente del futuro".

Non è il suo primo libro storico e c’è un altro lavoro in arrivo.

"Sento un forte impegno sulla storia e sulla memoria, insieme. È importante che la memoria venga inquadrata in un contesto storico, una ricostruzione intersoggettiva. Non bisogna fare l’errore di deformare la valenza dell’una o dell’altra rendendole assolute".

Walter Tobagi: giornalista, scrittore, sindacalista. Ucciso dai terroristi a 33 anni. Quanto conta questa eredità nel suo lavoro e quanto vale l’esempio di suo padre?

"Per il suo rigore è stato per tutti un punto di riferimento, per me una guida. Emozionante sapere che lui, appassionatamente antifascista, stava lavorando a un suo progetto per far scrivere qualcosa sulla Resistenza civile".

C’è anche un podcast.

"Dopo il libro ho fatto anche il podcast La Resistenza delle donne: voci partigiane, con i materiali originali d’archivio dagli anni ’70 in poi. Gratis su tutte le piattaforme"

Alla premiazione è stata ricordata Michela Murgia.

"Un momento molto commovente. L’ho seguita sempre con grande ammirazione, era una donna che sapeva farti pensare. Ha dato tantissimo e ha saputo trasformare la malattia in un momento pubblico, ricco di provocazione e stimolo per ragionare su modi più umani e solidali di stare al mondo".

Cosa significa la vittoria del Campiello?

"Una grande emozione. È un premio imprevedibile, perché prima vieni scelto da una giuria di letterati, ma poi tocca a una giuria popolare".

Non se lo aspettava.

"Ci siamo ritrovate sul podio io e Silvia Ballestra. Il mio libro parla delle donne della Resistenza mentre il suo, La Sibilla, Vita di Joyce Lussu (laTerza) di una grandissima partigiana, femminista e attivista dell’ambiente. Averci scelto lo sento come un segnale molto forte".