La preghiera di Muti sale sul Monte dell’Arca

A Erevan, con vista sull’Ararat, il concerto dell’Orchestra Cherubini nel nome di Dante. "Ogni nota è un miracolo dell’universo"

Muti dirige il concerto “Le vie dell’amicizia” al Teatro dell’Opera di Erevan (foto Marco

Muti dirige il concerto “Le vie dell’amicizia” al Teatro dell’Opera di Erevan (foto Marco

Erevan (Armenia), 5 luglio 2021 - Prega l’orizzonte di Erevan perché basta alzare gli occhi e il Monte Ararat dove approdò l’Arca di Noè è lì, segno perenne della presenza di Dio e col confine turco che lo separa dal suo popolo simbolo perenne della sofferenza. Prega la musica di Schubert: "Ogni nota è un miracolo dell’universo", spiega Riccardo Muti ai ragazzi dell’Orchestra Cherubini che ha portato ieri al Teatro dell’Opera della capitale armena e che ha diretto nel concerto delle “Vie dell’amicizia” in cui è stata eseguita in prima mondiale l’opera di Tigran Mansurian ispirata al Purgatorio dantesco creata dall’82enne compositore armeno su commissione di Ravenna Festival per le celebrazioni dei 700 anni del poeta, insieme al Te Deum di Haydn, al Kyrie di Mozart e – appunto – alla Messa numero 2 di Schubert. "Questa generazione di ragazzi è positiva, fantastica", dice Muti dei “suoi” Cherubini. Ed è grazie a loro che, sotto la guida del Maestro, il tempo del concerto di ieri in Armenia non è fuggito ma al contrario si è moltiplicato, dilatandosi in mille significati, tessendo con i mille fili invisibili della musica la trama di una sterminata, atavica e attualissima preghiera.

Gioiosa quella di Haydn: "Qui ogni suono è elevato a Dio", spiega Muti all’Orchestra; dolorosa quella di Mozart, umana e sacra quella di Schubert. È poi il Padre Nostro dell’undicesimo Canto del Purgatorio (lo stesso in cui a Dante viene preconizzato l’esilio), con l’incipit del primo Canto, il centro della nuova opera di Mansurian, voce solista ora di violoncello (Ilario Fantone) ora di baritono, e cori imponenti e leggerezza d’archi. "Affonda le sue radici – racconta Muti – nella tradizione della musica corale armena che nasce nel Medio Evo. Attraversando le dissonanze la composizione di Mansurian arriva alla pace, ma lascia nell’ascoltatore il senso del mistero della fede, dell’incommensurabile".

"Non solo gli italiani, ma tutti noi siamo figli di Dante – scandisce commosso Mansurian alla fine del concerto in un trionfo di lacrime e applausi – Grazie per la fratellanza e la vicinanza tra i due nostri Paesi, grazie a Muti per aver portato qui tutte opere che dicevano una cosa sola: Signore, abbi pietà. Grazie perché l’unica vittoria che vale è quella della bontà".

“I’ mi son un che quando Amor mi spira noto, e a quel modo ch’ e’ ditta dentro vo significando”, è un verso del Purgatorio che il Maestro cita, durante le prove. "Amor con la A maiuscola", precisa: è l’amore mistico, il soffio è sia l’inizio della vita, sia la verità dell’arte. È – ancora – un moto dell’anima che si alza dal “regno di pietre urlanti” che è questa terra, culla della religione cristiana, raccontata dal poeta russo Mandel’stam, che morì ai lavori forzati sotto Stalin e per il quale Dante lo scrittore è "il più potente direttore d’orchestra di un’opera poetica" mentre Dante l’esule è "circondato dalla città perduta, che sente in ogni luogo".

Nel genocidio armeno i Giovani Turchi sterminarono gli uomini nelle esecuzioni di massa mentre fecero prigioniere e stuprarono le donne, i volti delle nuove schiave sfigurati dai tatuaggi, le puerpere costrette a uccidere i propri figli appena nati; vennero crocifisse, se incinte squartate mentre i carnefici scommettevano su quale fosse il sesso del feto. Eppure, in quell’orrore, Anoush e Kohar si preoccuparono di salvare un antichissimo libro, le Omelie di Mush, così grande e pesante che per proteggerlo lo dovettero dividere a metà, e impegnarsi a custodirne un pezzo ciascuna, sperando contro ogni speranza che il ricongiungimento sarebbe arrivato. Pochi mesi fa, si è consumata una guerra che ha portato alla morte fra i seimila e i cinquemila ragazzi armeni: l’Azerbaijan ha strappato alla nazione quella striscia di terra – il Nagorno Karabakh, per gli armeni Artsakh – che era già stata contesa nella guerra ’91- ’94.

"Il mondo soffre non per la violenza dei cattivi, ma per il silenzio dei buoni", è stato detto del genocidio, il Grande Male, ancora negato non solo dai responsabili turchi: eppure, gli armeni hanno il culto della carità, scrive Antonia Arslan, gli armeni sanno ritrovare sempre il cammino della salvezza. Ed è questo il cammino che Riccardo Muti ha scelto di percorrere lungo le “Vie dell’amicizia” di Ravenna Festival 2021: a vent’anni dal primo concerto a Erevan, il Maestro è tornato qui per infrangere l’ultimo silenzio e per scrivere, nel concerto di ieri sera al Teatro dell’Opera dinnanzi ai mille in sala e al pubblico delle piazze coi maxischermi e della diretta della tv armena, una nuova pagina di un nuovo libro – la preghiera della Storia, affidata al coraggio di una nuova opera di musica contemporanea e soprattutto al cuore dei giovani che l’hanno magistralmente interpretata – da proteggere e tramandare.

 

 

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