La morte fa paura, l’unico vaccino è l’eternità

Siamo anime in viaggio e non solo corpi da curare. Di fronte alla pandemia è stato rimosso il senso del sacro, ma così siamo più deboli

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di Davide Rondoni

L’epidemia è la prova di un mondo senza Dio ? Il Covid l’ha ucciso ? O almeno il nostro Dio, di Abramo, e di Gesù. Non Giove Imperturbabile ma il Padre nostro che sei nei cieli. Si inquieta e si accende il cuore su questa domanda in mezzo alla scena che un oscuro virus e altrettanti oscuri coprotagonisti ci hanno allestito. Notizie continue (ossessive qui in Italia) di malattie, contagi, morti. Uno scenario in cui si affollano voci diverse e contraddittorie. Ma che tende a paralizzare le persone in un timore a riguardo della salute mai visto prima.

Non importa, dati alla mano, vedere che influenze di vario tipo fecero, solo qualche decennio fa, un superiore numero di vittime in Italia, senza che si assistesse a questo clima. E nemmeno importa dare un’occhiata ai dati dell’economia mondiale per legare i fatti tra loro. E da tutto questo è assente e nemmeno sentito come tale lui: Dio. Non si avverte la ferita della sua assenza. Si invoca il vaccino, non Lui. E pare assente anche del tutto l’idea che la vita debba meritarsi l’eternità, non un mese in più in terapia intensiva.

I riti sospesi per molti mesi, un ritorno blando agli stessi, un vecchio Pontefice che si affida al buon senso di dire che "siamo sulla stessa barca", il timore di molti preti di apparire untori, hanno quasi silenziato Dio e il grido verso l’eterno, proprio nel momento in cui dilaga il timore della morte. Un paio di sere fa, un noto psicologo in tv invitava i politici, in questa dura situazione, a dare "speranza" alle persone, indicando una uscita dall’incubo.

I politici a dare speranza. Siamo a posto. La speranza, argomentava il saggio in diretta tv, muove endorfine e serotonine altre sostanze cerebrali che fan vivere meglio. E per questo invitava i politici a dare che so, una data per il vaccino. Dare un obiettivo in mezzo alle brutte notizie riequilibra l’organismo. Nobile intento, quello dello psicoterapeuta che non fa più cenno alla psiche.

Ancora una volta va in scena la triste messinscena di questi tempi: timore per i nostri corpi, obiettivi da raggiungere in un futuro garantito dalla Scienza, fallace divinità coi suoi litigiosi sacerdoti. Una pandemia dove tutti parlano e dove l’unica voce assente è di chi, di fronte a uno scenario di paura e di morte, richiami la fame d’eterno della vita umana. Quella fame di eterno che ci abita e per cui, appunto, sentiamo il limite come doloroso non ha nulla a che fare con quel che stiamo vivendo? Non è proprio lei, la morte, lì a destare, magari come rabbia o supplica, la fame di eterno che ci abita. E che ha movimentato al più alto grado le culture del mondo, capolavori che vanno dalle tragedie ai miti e alla grande epica greca, da Virgilio ai contemporanei. E il nostro celebratissimo ma incompreso, proprio in questa fame, Dante.

Cosa servono le celebrazioni dei 700 anni del poeta della Commedia, iniziate e correnti tutto il ’21, e chiamarlo padre della cultura italiana, se si censura proprio il motore che lo mosse, appunto lei, la fame dell’eterno dinanzi allo scandalo della morte? La fame dell’eterno per Beatrice, per sé, per la vita, verso Amor che move il sole e l’altre stelle. Non dovrebbe cadere a proposito, almeno per chi ha orecchie per intendere, questo anniversario, per scoprirci di nuovo con lui anime in viaggio e non solo corpi da tamponare, vaccinare, e infine, comunque, lasciare, almeno per un po’? Ma dove sono le voci che alla mia impotente di poeta si associano? Chi grida questa fame dell’eterno per leggere proprio oggi la nostra ferita umanità?

Senza questa fame non siamo uomini, tantomeno italiani. E siamo più deboli, non più forti davanti alla epidemia. Sospetto che attraverso queste censure, omissioni si stia completando la trasformazione di un popolo in altro da sé, un brutto ibrido, una malacopia. Si compie in modo definitivo e oltre le previsioni quella omologazione planetaria che erroneamente Pasolini imputava a certe forze del capitalismo che invece viene da altre, più forti, che usano anche il capitalismo.

E come lui antivide, tali forze avevano nemico il nostro senso del sacro. Del resto, come ricordava C.S.Lewis tra le righe del suo gustoso Lettere di Berlicche, lo zio Gran Diavolo insegna al nipotino che è semplice accaparrarsi le anime: fai crescere le ansie, falli preoccupare del futuro, non più dell’eterno.

Oggi se si prova a mettere in discussione la narrazione dominante si passa per “negazionisti”. Forse non si vuole far vedere che a essere negato è ben Altro.

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