Sabato 14 Settembre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

La moglie di Jara morta in pace (e giustizia)

Joan Turner, vedova del cantautore ucciso nel ’73 in Cile dai golpisti, aveva 96 anni e un mese fa aveva visto l’arresto dell’ultimo killer del marito

La moglie di Jara morta in pace (e giustizia)

La moglie di Jara morta in pace (e giustizia)

Era un ballerina, una coreografa, un’insegnante: inglese, ma viveva in Cile; era la vedova di Victor Jara, il poeta della canzone popolare cilena, torturato e ucciso nel 1973 nei primi giornio del golpe militare che mise fine all’esperimento di “socialismo nella democrazia“ guidato da Salvador Allende. Joan Turner se n’è andata ieri, all’età di 96 anni, dopo una vita di lotta e di testimonianza, prima a fianco del suo uomo, poi – dall’esilio e di ritorno in Cile – nella ricerca di giustizia. Se n’è andata, Joan Jara, come ormai si faceva chiamare, con il cuore forse più leggero, appena un mese dopo l’arresto negli Stati Uniti dell’ultimo ex militare ancora in libertà, fra i sette condannati in via definitiva nel 2023 – cinquant’anni esatti dopo i fatti – per l’omicidio di Victor Jara. Pedro Barrientos nel ’73 era un tenente e comandava il gruppo che prese in consegna Victor Jara subito dopo l’arresto – una retata di docenti, studenti, funzionari – avvenuto il 12 settembre all’Università di Santiago. Victor era una celebrità e fu subito riconosciuto. Portato all’Estadio Chile, un centro sportivo della capitale trasformato in luogo di tortura, gli venne riservato un “trattamento speciale“: Victor fu colpito soprattutto al volto, ma poi i soldati presero di mira le mani e gli fratturano le ossa, irridendolo, che provasse a suonare ancora Venceremos, l’inno di Unidad Popular, il movimento che aveva portato alla Moneda Salvador Allende. Si dice che Victor, in risposta, abbia canticchiato i primi versi del brano. Poi fu finito con un colpo di pistola alla nuca e infine trivellato: in tutto 44 proiettili.

Il corpo di Jara fu prima abbandonato, con altri cadaveri, poi finì all’obitorio, da dove qualcuno avvertì clandestinamente la moglie. È così che Joan Turner Jara cominciò la sua infinita lotta contro i golpisti ma anche contro le forze armate e il sistema giudiziario del “nuovo Cile“, che per decenni hanno ostacolato, ritardato, quasi impedito la sua ricerca di giustizia, fino alla svolta degli anni Duemilla e alle condanne del 2023.

Joan ha raccontato nel suo libro Una canzone troncata la scena dell’obitorio: "Ho trovato il corpo di Vìctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Victor era il più contorto". Seguono dettagli raccappriccianti, poi l’immagine finale: "Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti".

Victor Jara è stato un poeta, esponente di spicco della Nueva canción chilena, il filone nato negli anni Sessanta sull’onda della ricerca avviata da Violeta Parra. Era una canzone che riscopriva le tradizioni musicali popolari e le immergeva nella nuova stagione politica e culturale che sarebbe culminata, nel 1970, con l’elezione di Salvador Allende, medico e politico tanto mite d’aspetto, quanto determinato a realizzare il suo progetto di “socialismo nella democrazia“. Anche Jara era un uomo mite, quasi timido; parlava a voce bassa, cantava canzoni d’amore e di lotta con grazia di poeta. Uno dei suoi brani più celebri, Te recuerdo Amanda, racconta un amore fra due giovani operai, gli incontri strappati alle pause di lavoro, finché lui non va in montagna da guerrigliero e muore in battaglia “in cinque minuti“; una storia malinconica, com’era in fondo Victor.

Joan Turner era una ballerina e insegnante di danza, arrivata in Cile al seguito del primo marito, il danzatore e coreografo cileno Patricio Bunster. Finito il matrimonio, aveva incontrato Victor all’Università: avrebbero formato un sodalizio artistico e politico che ha resistito alla morte di lui. Victor era iscritto al Partito comunista cileno, come Pablo Neruda, di cui musicò alcune poesie, e diceva di sé: "Sono un lavoratore della musica, non un artista. Il popolo e il tempo diranno se lo sono". E ancora: "La mia chitarra non è per i ricchi. Il mio canto è degli umili per raggiungere le stelle. Perché una canzone ha senso quando pulsa nelle vene di un uomo che morirà cantando le crude verità".

Proprio la sorte toccata a Jara, che riuscì a comporre all’Estadio Chile un’ultima canzone, scritta a matita su un taccuino, poi copiata su carte di sigarette e fatta uscire: “Canto, che cattivo sapore hai Quando devo cantare la paura Paura come qualla che vivo Come quella che muoio, paura“.

Un lamento in versi di un prigioniero prossimo a morire, ma anche un testamento, giunto nelle mani di una donna, a quel punto già in esilio, pronta a dare un seguito a quel messaggio disperato. Joan era già un’attivista, considerava la danza "una forma d’arte non censurabile", e quando fondò, nel 1993, la Fondazione Victor Jara, era ben cosciente che la fine della dittatura, avvenuta pochi anni prima (1990), non comportava, di per sé, l’accesso a verità e giustizia. Ma alla fine ce l’ha fatta.

Se oggi Victor Jara è un simbolo di libertà in tutta l’America Latina, se gli è stato intitolato lo Estadio Chile dove fu torturato e ucciso, se i versi dell’ultima canzone sono un murale al Museo della memoria e dei diritti umani di Santiago, se insomma Victor Jara non è stato dimenticato e anzi continua a generare azione e pensiero, è in buona parte merito di questa ballerina inglese, limpida figura di attivista per i diritti umani e testimone di giustizia.