La Medea africana: una Leonessa

Andrea

Martini

Frank Zeller, il drammaturgo francese esperto nel rivitalizzare le dinamiche familiari, dopo il fortunato “Il padre“, con l’aiuto dell’inglese Christopher Hampton, porta sullo schermo la pièce “The Son“, ieri in Concorso alla Mostra. Upper class newyorkese, un avvocato con mire politiche (Hugh Jackman, lezioso) vive le gioie di un secondo matrimonio e di un secondo pargolo ma il primo figlio quindicenne, rimasto con la madre, entra in depressione e gli rovina la festa. Nelle bugie, nelle assenze scolastiche, nell’autolesionismo si nasconde il patimento per la separazione dei genitori. Che fare? Se ne provano di tutte, con sofferenza garantita per tutti. Scaltro melodramma patinato a proposito di un problema diffuso. Inno nascosto alla famiglia ristretta: all’originale. Corsa all’Oscar in discesa.

Opera prima di grande forza drammatica “Saint Omer“, della francese Alice Diop, sferza la comunità assopita del Lido. Nella cittadina, a due passi dall’Atlantico, si celebra il processo a carica di una giovane immigrata senegalese, rea confessa d’aver abbandonato la figlia di pochi mesi sulla battigia, in attesa dell’alta marea. Le ragioni del gesto? L’imputata ne adduce diverse. L’ha affidata alla Grande Madre Mare perché fosse protetta; si è vendicata come Medea del padre; è stata vittima del malocchio; ha agito in preda a forze occulte. O più semplicemente non ci sono ragioni all’infanticidio di una madre. L’aula giudiziaria diventa un teatro dove s’incontrano, o piuttosto si scontrano, cultura africana e razionalità cartesiana, medicina e stregoneria. La protagonista, spaventata e fiera, racchiude la memoria di mille donne. Il Leone potrebbe posarsi qui.

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