La Liberazione arrivò anche a ritmo di samba

Una mostra rievoca il corpo di spedizione brasiliano in Italia durante la seconda guerra mondiale. E i suoi buoni rapporti con la popolazione

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di Davide Nitrosi

Alla fine del 1945 i grammofoni sparavano musica nuova per gli italiani che respiravano la liberazione. Boogie, jazz, l’indimenticabile Glenn Miller. Ma in un pezzo d’Emilia la colonna sonora della libertà comprendeva anche Samba e Cucaracha. I tedeschi erano fuggiti, tra gli Alleati che avevano liberato i paesi tra Bologna e Parma c’erano anche i brasiliani della Força Expedicionária Brasileira, la Feb. Venticinquemila uomini e donne inviati dal gigante sudamericano per combattere con gli americani contro i nazisti. L’unico paese dell’America latina a inviare un contingente in Europa a fianco degli Yankee.

Assieme alla Quinta armata i brasiliani impugnarono le armi fra Toscana ed Emilia a partire dal 1944. Oltre quattrocento morti e tremila feriti tra le loro fila. Erano una sintesi di tutte le origini, come la società brasiliana. Tantissimi con cognomi italiani, figli o nipoti dei nostri migranti. Ora una mostra li ricorda. Liberatori – Il Brasile nella Campagna d’Italia è allestita a Palazzo Pamphilj, Galleria Candido Portinari in piazza Navona Roma fino al 19 marzo.

Dove sono passati, i brasiliani hanno lasciato un segno. A Pistoia è stato eretto un monumento per ricordare i caduti (avevano combattuto nella valle del Serchio). A Collecchio di Parma, in piazza c’è una statua dedicata ai liberatori carioca. Non è una casualità, come scrive uno storico locale, Atos Bertazzoni, nel libro Tutto è finito a Collecchio. Alle porte della cittadina, in quella che è chiamata la Sacca di Fornovo, nell’aprile del 1945 oltre 15mila soldati tedeschi e repubblichini si arresero alle Forze armate brasiliane.

"La resa più importante in termini numerici sia di uomini che di armamenti avvenuta sul suolo italiano lungo il corso di tutta la guerra", scrive Bertazzoni.

Nella loro marcia nel cuore della pianura i brasiliano lasciarono tracce indelebili. Soprattutto nei costumi. "Le ragazze ci dicevano: sapete perché non piacete alle nostre mamme? Perché siete come i marinai, parlate d’amore e poi fuggite. È il frutto dell’insegnamento dei brasiliani". La citazione la troviamo in un piccolo libro scritto anni fa da Guido Mazzali, un meccanico di Sant’Ilario D’Enza (uno dei paesi liberati dai brasiliani fra Reggio e Parma), scomparso alcuni anni fa. Mazzali è stato involontariamente una fonte preziosa per ricostruire l’impatto dei brasiliani tra la popolazione emiliana.

"Alla sera i militari brasiliani suonavano la cucaracha, Brazil e tante altre canzoni – scriveva –. Noi giovani ci trovavamo con loro e ballavamo con i loro ritmi. In quegli anni poi nelle balere si diceva che i giovani di Sant’Ilario fossero i migliori ballerini, perché avevano imparato dai brasiliani. Porfirio suonava la chitarra, Marino Barreto, che poi divenne famoso in tutta Italia, la fisarmonica. Galvao sposò una ragazza del paese. La musica brasiliana rimase dentro di noi".

La guerra era finita, la convivenza con i brasiliani non creava problemi. Quelle truppe erano lontane anni luce dalle truppe magrebine autrici delle violenze sui civili nel Lazio. "I soldati brasiliani erano amati dalla popolazione", racconta il ricercatore e storico Giovanni Sulla nella presentazione della mostra aperta a Roma.

"Avevano una lingua comprensibile e una religione vicina. Una parte di loro era di origine italiana anche se il contingente era una mescolanza di origini diverse: indigena, portoghese, africana, giapponese, tedesca, polacca, araba". Per Sulla una cosa è certa: "Di tutte le truppe alleate in Italia sono quelli che hanno lasciato il ricordo più bello soprattutto per la loro bontà".

Già la scelta di venire in Europa era stata una presa di posizione netta. Sul distintivo dei militari brasiliani si leggeva questo motto: “Il serpente sta fumando”. L’allusione era ad una battuta che circolava nel gigante sudamericano: "È più facile che un serpente fumi che il Brasile entri in guerra". In guerra ci entrò, il Brasile. Per combattere il nazismo.

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