La grinta di Noémie sotto la Superficie Dalla Francia il gran ritorno del polar

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Si fa presto a dire maestro. E ancora prima si fa a dire: ecco un bel polar. Che, detto per inciso, altro non è che la crasi di policier e noir, genere tipicamente francese (nato negli anni ’40), ma che salvo rarissime eccezioni (il maestro Léo Malet) non ha trovato un’eccellente pratica sciovinista. Ecco però Olivier Norek, curriculum da poliziotto (che serve per i dettagli narrativi), sguardo aperto sul mondo (di chi ha portato aiuti e soccorsi nell’ex Jugoslavia) e capacità di tratteggiare un personaggio (la sua Noémie) che nasce nel romanzo come una dicotomia che è la più significativa di una serie di altre dicotomie su cui Superficie si regge in maniera prestante.

Chi è Noémie? La capitana della squadra antidroga di Parigi che resta ferita sul lavoro, durante un arresto, con il viso deformato dai proiettili sparati dallo spacciatore che è andata ad arrestare e che, dopo una lunga convalescenza, viene spedita in provincia. Città-provincia, le due facce (quella prima e quella dopo il ferimento) e la Noémie che sceglie di essere No dopo essersi guardata allo specchio, appena uscita dall’ospedale.

Ma in provincia non va a vivacchiare. In Superficie (appunto), ad Avalon (il paese della provincia francese), spunta un fusto di plastica (con dentro un cadavere) dal lago e niente sarà come prima. Noémie che sembrava inizialmente riottosa nel seguire l’inchiesta che è stata appena aperta, porterà a galla il sommerso.

E in pochi si sentiranno al sicuro. Perché c’è un mondo di sopra, in superficie, e un mondo di sotto.

Matteo Massi

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