Venerdì 12 Aprile 2024

La fisica da Nobel abita in via Panisperna

Dai “ragazzi“ di Enrico Fermi fino a Giorgio Parisi, il tempio della ricerca italiana all’Università di Roma sta per diventare un museo

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Da sinistra: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi in una fotografia scattata da Bruno Pontecorvo

di Alessandro Ferri

e Ludovica Passeri

La fisica italiana, tornata alla ribalta internazionale grazie al neo premio Nobel Giorgio Parisi, ha un suo tempio. Là dove sorgeva l’Istituto di via Panisperna, nel romano Rione Monti, è nato un museo per onorare la memoria di Enrico Fermi e dei “ragazzi“ che, sul finire degli anni Venti, sotto la sua guida, condussero i primi importanti esperimenti di fisica nucleare.

Ogni cosa sembra rimasta al suo posto. In quel luogo simbolico non si è mai smesso di fare ricerca, come testimonia il Centro studi che da Fermi prende il nome. E la continuità si ritrova anche nei dettagli: davanti alla palazzina c’è ancora la fontana che suggerì al maestro e ai suoi allievi che "se i neutroni vengono rallentati, hanno maggiori probabilità di indurre reazioni nucleari". Lo spiega Francesco Sylos Labini, direttore del Museo e del Centro: "La leggenda vuole che quei ricercatori utilizzarono l’acqua di questa fontana. L’acqua è infatti composta di idrogeno e ossigeno, e l’idrogeno, avendo la stessa massa di un neutrone, lo può rallentare. Con i neutroni lenti bombardarono tutti gli elementi della tavola periodica sino all’uranio, di cui ottennero la prima fissione".

Sylos Labini utilizza un linguaggio semplice per descrivere fenomeni complessi. Uno degli obiettivi del museo, che se tutto andrà bene aprirà i battenti a novembre, è proprio quello di offrire una divulgazione scientifica diversa: "Spesso – spiega – si punta ad affascinare l’interlocutore con paroloni, ma noi vogliamo lasciare qualcosa oltre le parole e l’incanto".

Nel museo storico della fisica non ci saranno solo installazioni interattive, capaci di illustrare concetti difficili agli studenti di liceo che litigano con i manuali. Si potrà camminare nella storia del Novecento e attraverso degli occhiali 3D muoversi nel mondo di Fermi.

Da un lato la riapertura dei luoghi di cultura grazie alla campagna vaccinale, dall’altro l’interesse suscitato dalla vittoria italiana di un nuovo premio Nobel: sembra un momento propizio per tagliare il nastro. Ma per avvicinare il pubblico, basterebbe spiegare che, prima di essere una disciplina, la fisica è un metodo, utile per capire meglio il mondo in cui viviamo: "Con la modellistica che abbiamo a disposizione, possiamo risolvere problemi diversi, da quelli socio-economici alle grandi questioni poste dall’epidemiologia in questi tempi di Covid". Di una tale versatilità è testimone lo stesso Parisi che, rapito dal volo degli stormi, è arrivato a riconoscere degli "schemi rivelatori".

Quella in cui Parisi si è distinto si chiama fisica dei sistemi complessi: "Fino agli anni Settanta – racconta Sylos Labini – è andato per la maggiore un approccio riduzionista, per cui si pensava che una volta capiti i costituenti ultimi si potesse ricostruire tutto il resto. Poi però si è compreso che ci sono fenomeni e comportamenti che non sono semplicemente la somma delle parti".

E anche nella storia di Parisi, uomo e studioso, torna via Panisperna. Del resto, è il luogo primigenio, in cui tutto è cominciato. Uno dei collaboratori di Fermi, Edoardo Amaldi, raccolse nel dopoguerra la tradizione maturata nel periodo in cui, al Rione Monti, si facevano scoperte che avrebbero cambiato le sorti dell’umanità. Un’eredità intellettuale che Amaldi trasferì nel dipartimento di Fisica della Sapienza, dove Parisi si è formato alla fine degli anni Sessanta. Anni in cui – assicura Sylos Labini – la fisica in Italia "era al top".

Per i ragazzi che si iscrivono oggi nelle nostre facoltà scientifiche, le cose sono cambiate. È aumentata la distanza tra l’Italia e Paesi come Francia, Inghilterra, Germania: "Gli investimenti sono ulteriormente diminuiti e a questa penuria si sommano dei problemi più profondi: manca un sistema industriale e produttivo che richieda personale con alta qualifica formativa", denuncia Sylos Labini. Al resto ci pensa la miopia della politica: "Lo Stato dovrebbe scommettere sulla ricerca, assumendo dei rischi, che per ora ha scelto di non correre". I Parisi continueranno ad esserci, ma restano le questioni strutturali: "Il genio nasce sempre come frutto di un sistema – insiste Sylos Labini – un fiore non nasce nel deserto".

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